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Carlo Guaitoli

L’equilibrio della vita raggiunto attraverso l’arte

Il cappello di questa intervista potrebbe essere molto breve: “Carlo Guaitoli, da Carpi, musicista, compositore, direttore d’orchestra”. Già, perché la figura del Maestro Guaitoli potrebbe essere condensata in poche parole in quanto per lui parla la musica e il suo stile di direzione. Intenso e sobrio al contempo. Invece l’intervista (e questo lo scopo delle stesse) ci presenta un musicista innamorato del suo lavoro che, attraverso l’incontro con Franco Battiato e la sua musica, ha avuto la possibilità di esplorare mondi apparentemente diversi da quelli del mondo classico e di farlo “genialmente”. Gli stimoli e le radici di quel lavoro proseguono con il proficuo lavoro con Alice. Ascoltiamolo…leggendo…  

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Maestro Guaitoli, come è cambiato - se a suo avviso lo è - il mondo della musica classica e da camera nel nostro Paese? E quale futuro per i giovani concertisti in un mondo sempre più monopolizzato dalla musica liquida?
Da un certo punto di vista è cambiato in meglio, nel senso che la qualità offerta dalle nuove generazioni di musicisti si è decisamente alzata. Il panorama insomma è decisamente interessante. Il problema è che si stanno progressivamente perdendo fette importanti di pubblico, fenomeno purtroppo accelerato dal terribile periodo legato alla pandemia. Questo perché manca il ricambio nelle generazioni dei cinquantenni e dei quarantenni, che non si sono mai abbastanza legate e appassionate a questo mondo, diversamente da quelle che le hanno precedute. Questo significa meno investimenti, meno concerti e quindi meno lavoro per tutti. L’Italia è stata, in passato, un Paese che si distingueva rispetto agli altri per la capacità di creare e sostenere un ricco circuito concertistico di fascia media, che ha sempre dato lavoro alla maggior parte dei musicisti. Ora questo circuito è molto in sofferenza.

Ha calcato i palcoscenici di tutto il mondo con particolare presenza, se non sbaglio, in Giappone e Cina. Quale il suo giudizio su queste esperienze e quanto la musica può essere un reale ponte tra culture e mondi differenti?
Lavorando in paesi anche molto lontani dalla nostra cultura, come appunto il Giappone, la Cina, il Sud Africa, l’India, oltre alla meraviglia di poter scoprire nuove culture attraverso il mio lavoro, ho sperimentato (e continuo a farlo) quanto questa lingua sia universale, inclusiva, democratica e non necessiti di traduzioni. Nonostante le differenze a volte molto grandi tra i diversi pubblici del mondo, esiste sempre la possibilità di instaurare un filo di comunicazione diretto con tutti. Questa è la vera magia della musica e anche per questa ragione bisogna capire come funziona e come crearla. È commovente vedere emozioni comuni in persone anche tanto diverse o addirittura in conflitto, a volte in guerra, tra loro.

 

Lei è di Carpi, città da sempre laboratorio per via della sua storia economica e sociale, per le cooperative edilizie sorte ad inizio secolo e per l’economia agraria e manifatturiera. Partendo da questo contesto molto ‘concreto’, cosa l’ha spinta ad appassionarsi alla musica e allo studio del pianoforte in particolare?
Ho avuto la fortuna di crescere come terzo fratello, molto più giovane, in una famiglia dove tutti suonavano e ascoltavano buona musica. Questo, oltre al desiderio di emulare i miei fratelli, è stata la spinta fondamentale. Poiché in casa si ascoltava e si suonava di tutto, sono cresciuto in modo naturale con la mente totalmente aperta in tema di generi musicali e di approccio con lo strumento. Ciò che si semina nei primi anni in un bambino segna in modo indelebile il suo futuro.

Circa una ventina di anni fa iniziò a collaborare con Franco Battiato e il suo album di saluto, “Torneremo ancora”, uscito nel 2019, si è appoggiato sul suono creato dalla Royal Philharmonic Orchestra da Lei diretta. Come è nato questo lavoro e quale il ricordo che maggiormente l’ha colpita nella sua registrazione?
I momenti sono stati due, diversi e differiti nel tempo. Nel 2017 ho vissuto la grande emozione di questo tour molto importante, con una lunga fase di preparazione alle spalle. Si trattava degli ultimi mesi di attività di Franco, per certi versi difficili e delicati, per altri estremamente densi di emozioni e di empatie speciali. Ho ricordi molto intimi legati a questa esperienza, in particolare al rapporto con lui e con tutti i musicisti dell’orchestra; un’esperienza che mi ha regalato anche la grande soddisfazione di esibirmi nella piazza della mia città, Carpi, alla guida di una delle più straordinarie orchestre del mondo (qui sotto un momento di quella data). È un’orchestra con la quale l’intesa era immediata, sia in concerto che in studio di registrazione. Penso sia stato importante e prestigioso documentare il programma di quel tour su disco, un giusto coronamento alla sua carriera. Due anni più tardi, nel 2019, ho vissuto invece l’esperienza questa volta nuova di affrontare il lavoro di orchestrazione e di registrazione di “Torneremo ancora” senza la sua presenza costante al mio fianco. Anche se il lavoro su questo brano è stato fatto nel totale rispetto del suo materiale registrato, è stato strano dover andare a Londra senza di lui, prendermi certe responsabilità che normalmente erano sue, era la prima volta che succedeva. Il suo giudizio è poi arrivato al ritorno, ed è stato molto commovente.

 

Nella serata dedicata a Battiato, svoltasi alla Triennale di Milano, Lei è stato il musicista con maggior tempo a disposizione per accompagnare altri musicisti. Che cosa ha provato nel riprendere alcuni brani di Franco Battiato davanti ad un pubblico fortemente caratterizzato dalla stima e dalla reverenza nei suoi confronti?
Ho provato un grande senso di responsabilità, che ho sempre avuto e oggi ancora di più verso la sua musica. Come in tutte le altre occasioni ho cercato di far rimanere lui davanti a tutto. So quanto teneva a certi dettagli della sua scrittura e a come porgerli in pubblico e ho sempre presente questo quando suono la sua musica.

Aggiungo che in quella serata Lei fosse sì, sul palco, ma al contempo in una sorta di tempo separato. È stata solo una mia impressione?
In realtà quella serata è stata dedicata agli anni milanesi di Battiato, un periodo che io non ho vissuto vicino a lui per ovvie ragioni di età. Ragion per cui in quell’occasione non ero chiamato a parlare di lui, come in altre circostanze, ma potevo essere allo stesso tempo spettatore e musicista in campo. Ho potuto lasciarmi ispirare in modo diverso da ciò che ascoltavo perché non apparteneva strettamente al mio vissuto. Forse da questo nasce la sua impressione.

 

Quale la modalità che ha guidato il lavoro con Franco Battiato e cosa maggiormente l’ha colpita nel suo approccio artistico?
Franco aveva un grande carisma, era sempre estremamente consapevole di ciò che voleva o di ciò che cercava. Lavorare con lui significava a volte anche non capire immediatamente il “perché” di certe scelte o modalità di lavoro. Il suo era sempre un approccio estremamente originale, ma naturale, in fondo è sempre rimasto un autodidatta nell’anima. Mi piaceva molto lavorare insieme a lui mentre creava, mi piaceva affiancarlo con idee e impulsi, essere il suo braccio armato mentre ricercava. Lui, sempre, cercava qualcosa di nuovo, di sorprendente. E sceglieva sempre ciò che era meno scontato. A volte mi chiedeva creatività, altre volte estrema precisione e professionalità. Da lui ho imparato ad essere professionista anche nelle piccole cose, quelle più facili.

Quale l’eredità, se così la possiamo chiamare, le ha lasciato il periodo di lavoro con Franco Battiato?
Un’attitudine alla serietà, un atteggiamento di consapevolezza nei confronti della vita e quindi anche dell’arte.

 

Quali i Suoi prossimi progetti sia in termini concertistici che di produzione musicale?   
Sto lavorando da circa due anni al progetto ‘Alice canta Battiato’ che ha avuto un grande successo e ci ha portati ad esibirci in quasi un centinaio di concerti. A fine novembre uscirà il disco Eri con me, che documenta questa straordinaria esperienza con Alice. Sto lavorando ad alcuni programmi da solista, in particolare ad un monografico debussyano (che suonerò anche a MiTo 2023) e ad uno dedicato ai compositori italiani di oggi a me più affini. Ho ripreso anche a scrivere piuttosto intensamente dopo un lungo tempo. Vorrei documentare tutto questo su disco e più avanti registrare un album, in piano solo, dedicato a Franco. Inoltre, coltivo alcune collaborazioni importanti in ambito cameristico come quella con il violoncellista Enrico Dindo, col quale ho condiviso (qui insieme nella foto) diversi concerti nel 2022.

 

Di quanta musica classica e concertistica (ma anche di ‘buona’ musica) c’è bisogno nella nostra vita e come stimolare i ragazzi affinchè possano appassionarsene evitando l’ascolto ‘mordi e fuggi’ sul cellulare?
In questo momento la musica classica, ma direi la grande musica in generale, rappresenta un’ancora alla quale dobbiamo tenerci aggrappati per mantenere la barra dritta, ricordarci le vette raggiunte nel corso della storia e darci fiducia per il futuro. Questo secolo di grandi aperture e incontri di diverse culture potrebbe ancora offrire un terreno molto fecondo di creatività. Il grande problema è la regressione sociale alla quale stiamo assistendo, la difficoltà alla concentrazione, alla riflessione, all’approfondimento e quindi anche alla percezione del bello. La superficie delle cose e l’apparenza sono oggi più importanti della realtà stessa. Occorre andare in aiuto dei più giovani, spiegando qual è la differenza tra una musica e l’altra, rendere la cultura alta più legata non dico al presente, ma al futuro, per renderla più affascinante. Far loro vivere l’esperienza del concerto, di qualsiasi tipo, è un momento fondamentale; lì si comprende cosa significa vivere e condividere un evento artistico in tempo reale, da queste esperienze può nascere una rivoluzione interiore. L’educazione e l’esperienza diretta potrebbero fare tanto, in attesa di un’inversione di tendenza che prima o poi arriverà.

Dovesse scegliere i classici cinque album da portare sulla classica isola deserta, verso quali lavori si orienterebbe?     
È difficile ma ci provo: Radu Lupu “Brahms op.79, 117, 118, 119”; G. Fauré “Requiem”; K. Jarrett “Paris Concert”; Lyle Mays “Lyle Mays”; F. Battiato “Messa arcaica”.

Nel ringraziare il Maestro Guaitoli per averci concesso questa intervista non si possono considerare due aspetti importanti nel suo vissuto di musicista: l’importanza degli incontri e, soprattutto, l’universalità del linguaggio della musica che utilizza “parole” di emozione, cultura e, soprattutto, pace, pace, pace…

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