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Un album che regala alla discografia italiana un passaggio centrale nella crescita artistica e nel modo di scrivere canzoni. E non solo per Baglioni.

17 novembre 1990 – 17 novembre 2015: buon compleanno Oltre

Venti canzoni che spostano verso l'alto la poetica del cantautore romano

È il 17 novembre 1990. Sono passati cinque anni dal 1985, da La vita è adesso, il sogno è sempre e da quell’ultimo verso “ma che cos’è mai che mi fa credere ancora/mi riga gli occhi d’amore/e mi addormenterà dalla parte del cuore” che chiudeva la ninna nanna Notte di note, note di notte, ultimo brano di quell’importante disco. Qui, cinque anni dopo, apre un sentore di fiato, e qualcuno che arriva correndo. Si apre così Oltre, Un mondo uomo sotto un cielo mago undicesimo album in studio di Claudio Baglioni. Doppio album di inestimabile valore artistico, arrangiato e prodotto da Celso Valli, suonato dai migliori musicisti di allora, tra i quali Danilo Rea e Walter Savelli, entrambi a quel tempo fedeli compagni di viaggio di Baglioni e impreziosito dalla presenza di grandi artisti come Pino Daniele, Paco De Lucia, Youssou N’Dour e Mia Martini. Viene accolto con una certa freddezza dal pubblico e dalla critica, entrambi frastornati da questa svolta più intimista del cantautore romano che dimostra, finalmente, non essere solamente il cantore delle belle emozioni ma un cantautore che nulla ha da invidiare ad altri nel panorama musicale italiano: entrambi, pubblico e critica, si ravvedranno nel tempo.

La corsa, il mare, l’immaginazione, la sensualità, il chiaro-scuro, l’equilibrio, la passione, l’inadeguatezza, il mutamento, la fuga, i rimpianti, la drammaticità dell’abbandono, la solitudine, l’ironia, il surreale, l’ossessione della celebrità, Piazza Tienanmen, la rassegnazione, la Pace.

Il racconto che diventa urgenza, parole buttate fuori come quando si sente che manca il tempo, o si è felici di esser tornati, la potenza di una narrazione, nuova, che spinge per uscire dalla voce. Una corsa che toglie il fiato. Batteria a scandire pesantemente il tempo e chitarra elettrica a smorzare l’aria, un grido che è sfogo e liberazione, ritorno. Il mare come madre, che dà la vita, cura, accoglie, riscalda, abbraccia, sostiene, e sospinge. Il mare come movimento, mutamento, assenza di staticità, come le onde che per trovare la loro potenza tornano un attimo indietro, quasi per prendere la rincorsa, così fa l’uomo Cucaio che per darsi il via, torna indietro con i ricordi, ad un tempo vivo solo nei racconti, ad un luogo in cui non c’era, immaginandone tempi, pause, sfumature, per ripartire nuovamente, senza ancorarsi immobile a ieri ma prendendo da quell’acqua in continuo viaggio la spinta per il domani. Mare come immensità da tentare di ricondurre a concretezza, dandole colori, forme, con un’aggettivazione strabordante, stracolma, affollata, quasi eccessivamente senza respiro, in un costante movimento senza sosta. Un sogno, un fermo-immagine, una fiaba che racchiude la magia del teatro e dell’arte circense, dal sapore antico e quasi surreale.
L’immaginazione e il sogno dell’artista che si offre al suo pubblico, dell’uomo che fa diventare arte la sua stessa esistenza, si mischiano a ricordi amari della vita vera, quella reale. L’artista, invincibile e magico da una parte, e l’uomo, sofferente e spesso solo dall’altra. L’anima di mago che “passa muri e tenebre”, attraversando e superando impedimenti, davanti a quella di un padre che “lascia a casa un figlio, gli occhi dietro la finestra”; e  un ostacolo fisico (la finestra dalla quale guardare qualcuno che va via) non solo diventa insormontabile ma si fa simbolo di impedimenti emotivi, di vicinanza mancata, di abbandono forzato e doloroso: la magia di qualcosa di inspiegabile e fantasioso che si specchia in un ricordo duro, concreto, sporcato dal senso di colpa. L’eterna lotta tra la vita quotidiana e la finzione, il teatro, il palcoscenico, gli equilibrismi, gli applausi. Un duello senza vincitori né vinti, dove rimane latente un profondo senso di inadeguatezza.
“Cominciammo a lavorarci con l’idea di rinnovarci, di fare cose diverse di quelle fatte fino ad allora. Da Claudio ho imparato tanto, do grande importanza alla mia partecipazione a questo lavoro discografico. Claudio in quel momento della sua carriera era amatissimo dal suo pubblico, e Oltre azzittì tutti, in particolare i critici musicali. (Celso Valli)

La passione. Fatta di cose, oggetti, spazi ben definiti, odori, tempi. È quella arrabbiata, senza controllo, ricordata attraverso i quattro elementi dell’universo (“umile come l’acqua” o “fertile come la terra”). Molto distante è l’amore adolescenziale del 1985 e degli anni precedenti, quello estivo, dai colori caldi, di motorini, piazze, fontane; quello romantico, tenero, vago, generico, con una sequenza di immagini senza tempo, senza luoghi definiti. Qui (nel 1990) c’è un tappeto sonoro opposto, scuro, buio, dai colori ombrosi e la voce, bassa, profonda, intensa, si scrolla di dosso la spensieratezza di quegli amori in corso. C’è un tempo estivo anche qui, ma il sole e il vento di ‘Oltre’ nulla hanno in comune con gli amori a cavalcioni sui muretti; qui c’è una casa vuota, una sedia e poco altro, c’è la passione, erotica, e incontrollata; c’è una gabbia che imprigiona, e toglie il fiato dall’angoscia che il domani non arrivi mai, e c’è una donna da amare come un mosaico di mondi diversi, distesa su di un letto, composta da pezzi che s’incastrano alla perfezione “se riuscissi a vivere dei suoi capelli, alghe del mare, e dei suoi occhi olive dolci e mandorle amare”. L’abbandono. Un amore grande, forse il più importante di un’esistenza. Quello che non dura una vita intera, ma te la cambia per sempre. S’intrufola sotto la pelle, si mischia al sangue e si fa osso, muscolo, nervo. Diventa pezzo di te, e ti cammina accanto e dentro per il resto della strada che farai, senza andare mai via. L’amore in cui si mischiano gli odori, così tanto da non riconoscere più il proprio, che quando ti allontani (perché sì, da un amore così il più delle volte ci si allontana) lo fai lentamente, a piccoli passi, guardandoti continuamente, e inevitabilmente, indietro. L’amore ricolmo di ricordi, così tanto che il prima non te lo ricordi neanche più, e forse un prima a pensarci bene non c’è mai stato. Dure e senza scampo sono le parole di chi, ferito, cerca di rialzarsi “chiuderò la porta a far star bene la tua assenza, ci sarà fedele sempre il cane del rimorso….a metà della speranza io cambiai percorso, e poi non ho più corso”.
Con l’accostamento sensoriale, emozionale, di concetto, tra un cavallo e un uomo. In questo animale da sempre si completano e a volte confondono, due anime: la prima, di essere volutamente sottomesso al volere dell’uomo, dal quale nonostante la forza che potrebbe avere, si lascia docilmente ammansire per sua stessa volontà; la seconda di animale nato libero, dotato di potenza, energia, eleganza, intelligenza, incontrollabile e folle. E quello che poteva sembrare un semplice accostamento di mondi sensoriali si fa fusione, e i due sono mescolati fino a non scorgere più alcuna differenza; ed è lo stesso cantautore a trasformarsi nell’animale e a muoversi attraverso i suoi gesti più riconoscibili: scalpitai, scappai, m’impennai, scalciai, galoppai, saltai, m’involai. Ed ogni movimento del cavallo diventa simbolo di libertà, di fuga, di cambiamento, di lacci recisi con il passato, di barriere abbattute, di ostacoli superati. Tutto quello che accade solitamente alla fine di una storia d’amore, una volta dimenticato il dolore.
“Sono stato catapultato nel lavoro da Pasquale Minieri, buona parte del disco è anche merito suo, mi arrivò una sua telefonata che diceva “Ti va di lavorare con Claudio?”.Per me lavorare con lui è stato davvero fondamentale, ho imparato da Claudio moltissimo, credo sia uno dei musicisti più validi che abbiamo in Italia, perché è completo. Da parte di Claudio, soprattutto all’inizio, ci furono molti dubbi sul lavoro, però credo che alla fine sia venuto fuori un album bellissimo, un disco dal grande pathos…un disco senza tempo”. (Danilo Rea)

La corsa senza fiato da cui tutto ha inizio trova la sua conclusione in due brani legati da un sottile filo di sensi e significati; il primo (ultimo del primo cd), commovente resoconto di una vita intera ed insieme perfetta amalgama degli universi interiori di ciascuno di noi, racconto delle solitudini e delle speranze di un’umanità non vaga e impalpabile, ma concreta e tangibile. Il secondo (ultimo del secondo cd), con lo stesso tema, musicalmente più impalpabile e arioso, fatto di fantasiosi squarci di vita e di intime riflessioni sull’esistenza. Tamburi lontani sembra racchiudere, come spesso accade con i brani messi a conclusione degli album dal cantautore romano (accadrà ancora con Titoli di coda in ‘Io sono qui’ o con A Clà in ‘Viaggiatore sulla coda del tempo’, secondo e terzo episodio di una trilogia che ha in ‘Oltre’ il principio), non solo l’intero mondo di significati e immagini del disco che chiude ma sembra trasformarsi in una specie di testamento. Tempi lunghi, respiro ampio e fiati solenni per il brano che è insieme una riflessione personale e universale; c’è dentro gran parte della vita del cantautore ma lo sguardo è ampio e i fatti e le persone della propria esistenza fungono da punto di partenza per un racconto che abbraccia molte altre vite. C’è l’amore per una donna, per la donna, la compagna di sempre, “dimmelo anche tu che il tempo non ci ha sconosciuto, male e bene mio…”, per il padre “vieni padre mio, usciamo a fare un giro e guida tu”, per un figlio “credi figlio mio, mi mancano i tuoi baci”; c’è l’amore incondizionato, sofferente, tenero, ribelle, potente per tutti quei tamburi che, nonostante a volte la lontananza, fisica come può essere quella con un figlio che si è costretti a lasciare o emotiva per incomprensioni che mettono distanze, continuano a battere, se non insieme, certamente (e per nostra fortuna) con lo stesso identico tempo. E il suono di quei tamburi arriva alle nostre orecchie, anche se la vita ci ha portato lontano, come il suono di casa, di quel luogo dell’anima che è nostro rifugio, che è e sempre sarà calore e intimità; il ritmo proveniente da anime, incrociate nella vita e per sempre legate alla nostra da strani ed inspiegabili lacci che, per una inconcepibile magia, ci fanno sentire più vicini.
E poi, infine, c’è Pace. Brano conclusivo del secondo cd e di tutto il doppio album ‘Oltre’. Una specie di filo che chiude dentro ad una scatola, con delicatezza, tutta l’immensità di significati del disco, tutte le parole, le atmosfere, i personaggi e le tante nuove sfumature che si sono disegnate sulla pelle del cantautore. E come nell’ultima riga di una favola, riporta il lettore all’inizio, a quando tutto cominciò e quegli ultimi versi “ora sono libero, un uomo, oltre” suonano come una risposta all’esortazione che l’Io faceva a se stesso nel brano di apertura: “dagli libertà”. Il principio e la fine che si riuniscono in un punto del cerchio immaginario che è stato questo racconto, che molto si avvicina all’idea e alla struttura di un romanzo di formazione.
“Oltre è sicuramente il disco a cui sono più affezionato. L’album messo a confronto con quello che è stato il prima e il dopo, lo metto tra gli album più belli degli ultimi vent’anni della musica italiana. Mi è un po’ dispiaciuto che molti addetti ai lavori abbiano capito troppo in ritardo questo disco, anche se ammetto che era un album difficile, fuori dalla norma. Fuori target. Venti canzoni una più bella dell’altra. Un disco da  metabolizzare, da assimilare. Ovviamente poi il tempo ha sistemato tutto, e adesso i fan e i critici sono tutti d’accordo: Oltre è un album bellissimo, inarrivabile, a dir la verità…quasi perfetto”. (Walter Savelli)

Oltre segnò nella storia della musica italiana un solco profondo e si è incastonato nella carriera musicale del cantautore romano tanto da diventare segno di confine e punto di separazione (nella carriera di Baglioni c’è un prima e un dopo Oltre). Un album che è racconto di vita, da leggere fino alla profondità più intima; che è fotografia di mille istanti, da osservare nelle sue più impercettibili sfumature; che è film da guardare e riavviare per guardare nuovamente scoprendo ogni volta la splendida meraviglia di dettagli sfuggiti alla prima visione. Un album che nella sua essenza, in definitiva e a distanza di venticinque anni dall’uscita, non fatichiamo a chiamare capolavoro.

DISCO 1
01 – Dagli il via
02 – Io dal mare (con Pino Daniele alla chitarra elettrica e ai cori)
03 – Naso di falco
04 – Io lui e la cana femmina
05 – Stelle di stelle (con Mia Martini)
06 – Vivi
07 – Le donne sono
08 – Domani mai (con Paco De Lucia alla chitarra classica)
09 – Acqua dalla luna
10 – Tamburi lontani

DISCO 2
01 – Noi no
02 – Signora delle ore scure
03 – Navigando
04 – Le mani e l’anima (con Youssou N’Dour)
05 – Mille giorni di te e di me
06 – Dov’è dov’è (intro di Oreste Lionello)
07 – Tieniamente
08 – Qui Dio non c’è
09 – La piana dei cavalli bradi
10 – Pace

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Le foto di Claudio Baglioni sono tratte dal sito ufficiale www.baglioni.it


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