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Ottobre 2015: a Irene Ghiotto la vittoria dell'11ª edizione e a Helena Hellwig il Premio della Critica. Madrina Ginevra Di Marco

La svolta “internazionale” del Premio Bianca d’Aponte e la collaborazione con “Cose di Amilcare”

Dieci le finaliste e molti gli ospiti sul palco di Aversa

Incontriamo Irene Ghiotto, vincitrice dell’11ª edizione del Premio ‘Bianca d’Aponte’, ma prima di dare spazio a questa giovane cantautrice veneta (qui nella foto mentre ritira il premio da Ginevra Di Marco), inquadriamo meglio la manifestazione.
Più passano gli anni e le edizioni e più il 'Bianca d'Aponte' diventa vero punto di riferimento per i concorsi in Italia. E questo non è dovuto solo alla straordinaria unicità di essere un concorso dedicato – esclusivamente-  al mondo femminile, ma anche perché il 'Bianca d’Aponte' è riuscito a creare un modello di manifestazione che unisce artisti, addetti ai lavori e territorio in una formula vincente.
Oltre alle dieci finaliste che ogni anno arrivano ad Aversa, città sede dell’Associazione “Sono un’isola” (motore pulsante dell’evento, che durante l’anno crea incontri musicali e letterari e che raggiunge la sua massima visibilità ad ottobre, proprio in occasione del Premio) si aggiungono spesso le artiste che negli anni sono passate dal Teatro Cimarosa in qualità di “madrine”. Nomi, in ordine sparso, come
Elena Ledda, Andrea Mirò, Brunella Selo, Petra Magoni, Cristina Donà, Nada, Fausta Vetere, Mariella Nava, Rossana Casale, Paola Turci fino a Ginevra Di Marco, madrina 2015, splendida testimonianza di una donna capace di unire vita privata e un’attività intensissima di live che prosegue da molti anni, portatrice “sana” di una fierezza autoctona che sa unire atmosfere rock e tradizione popolare. Il tutto, come se non bastasse, con una voce e un carisma da togliere il fiato.

Agli “artisti/e”, come dicevamo, si unisce un folto gruppo di addetti ai lavori, che nei tre giorni (tanto dura l’evento) dispensano consigli, esperienze e fanno di questa fase finale un momento di crescita reciproca. E anche il territorio risponde bene, con un Teatro Cimarosa sempre stracolmo di gente che oramai aspetta con interesse l’appuntamento annuale.
A coordinare la parte artistica troviamo Fausto Mesolella, istrionico musicista (oggi anche cantante, visto che nel suo ultimo, bellissimo album, canta/recita poesie di Stefano Benni da lui musicate) che con generosità si presta a creare jam session quasi sempre pseudo-improvvisate, con tutti gli ospiti che calcano il palco nelle due serate.

Tra le grandi novità che quest’anno si sono respirate al Bianca d’Aponte, non possiamo non ricordare la splendida idea – voluta e realizzata – da Sergio Secondiano Sacchi del Premio Tenco (qui nella foto con Gaetano d'Aponte, a sinistra) e da Steven Forti, che in una sorta di gemellaggio con “Cose di Amilcare” (costola tenchiana in terra Catalana, a Barcellona per l’esattezza) ha voluto dedicare un intero album alle canzoni di Bianca, la giovane cantautrice scomparsa e a cui il premio è dedicato. L’album ha preso il titolo di Estensioni e dentro ci sono incise canzoni di Bianca d’Aponte interpretate da una dozzina di artisti, quasi tutti internazionali, residenti appunto a Barcellona, ed il risultato è stato commovente. È nata così anche l’idea di creare una targa, il “Bianca d’Aponte International”, e quest’anno è andata a Silvia Comes, presente nell’album ed anche ad Aversa, premiata sul palco dallo stesso Sergio Sacchi e Steven Forti. Un’iniziativa che amplifica il nome del premio e la sua portata artistica fuori dai confini nazionali. Un motivo d’orgoglio per tutta l’Associazione “Sono un’Isola”, capitanata da Gaetano d’Aponte  (che insieme a sua moglie Giovanna, in qualche modo, continuano e danno un senso al sogno artistico della figlia Bianca, due persone davvero speciali) e da Gennaro Gatto, vero snodo organizzativo e logistico della manifestazione (qui a destra nella foto) e più in generale dei molti eventi che durante l’anno si susseguono nell’Auditorium di via Nobel ad Aversa.

E visto che in questa lunga introduzione siamo partiti da Irene Ghiotto, vincitrice dell’edizione 2015 con il brano La filastrocca della sera, una menzione particolare va anche a Helena Hellwig, (qui a sinistra nella foto), vincitrice del Premio della Critica, splendida voce su di un pezzo molto suggestivo dal titolo Alla Marilyn morrò. Questi gli altri premi, oltre ai due citati: “Miglior composizione” a Irene Ghiotto, “Miglior testo” a Helena Hellwig (il pezzo è scritto, per la parte del testo, in collaborazione con Matteo Passante) e “Miglior Interpretazione” sempre a Helena Hellwig. Come ormai da qualche anno, Mariella Nava e la sua preziosa etichetta Suoni dall’Italia  (fondata con molti artisti e addetti ai lavori) ha scelto di premiare una tra le dieci finaliste, a cui verrà garantita una produzione. La scelta quest’anno è caduta su Priscilla Bei (a destra nella foto). Sempre parlando di Mariella Nava, la brava cantautrice tarantina l’anno scorso si è resa protagonista di un’iniziativa delicatissima e preziosa. Ha messo insieme tutte le performance delle madrine che di anno in anno si sono succedute al Premio e ne ha raccolto la loro versione di un brano di Bianca. Ne è uscito un cd (presentato l’anno scorso in occasione del decennale del Premio) dal titolo Anima Bianca, che ha il sapore dello scrigno da riaprirei di tanto in tanto, quando si ha voglia di entrare in una di quelle magiche atmosfere che solo la musica sa regalare. Grandi voci per un progetto unico a cui si aggiunge in apertura anche Un chicco di caffè, brano cantato da Bianca d’Aponte stessa in una registrazione forse acerba ma che già lasciava intravedere sicure potenzialità.

Tra le altre novità che vale la pena segnalare c’è l’interesse che ha mostrato verso questo Premio la nuova realtà nata in casa “Rai”, chiamata Rai-Radio7 Live. Si tratta di una piattaforma che consente di trasmettere in streaming ed è centrata prevalentemente su concerti, festival, eventi che risultano meritevli di interesse. A gestire la parte musicale è chiamato Gianmaurizio Foderaro, storico giornalista Rai (qui in alto nella foto), che grazie alla sua competenza ed esperienza sul campo, ha impostato una serie di iniziative che siamo certi lanceranno questo canale come uno dei più seguiti quando di parla di streaming musicale live (tutte le sere, dal lunedì al venerdì, dalle 21.00 alle 23.00 potete seguire un concerto). Foderaro e la sua troupe erano presenti ad Aversa e se andate sul sito www.wr7.rai.it troverete altre informazioni. Infine, sul palco è salito anche Alberto Salerno, uno dei più importanti autori di testi del nostro paese, che in rappresentanza di FMD (Fare Musica e Dintorni) ha scelto Irene Ghiotto (qui insieme nella foto) come artista più rappresentativa di questa edizione.

Le due serate della manifestazione (patrocinata dalla Regione Campania, dal Comune di Aversa e da Siae) sono state presentate da Carlotta Scarlatto e Antonio Silva e a dare il via dell’11ª edizione del Premio è stata Elisa Rossi, vincitrice della scorsa edizione, accompagnata dal talentuoso chitarrista Daniele Fiaschi. Tra gli ospiti che hanno arricchito ulteriormente il programma della due giorni troviamo Diodato e Renzo Rubino, che oltre ad un miniset autonomo hanno condiviso un brano, una cover di De Andrè (qui in alto nella foto con al centro Daniele Fiaschi) e poi ancora Bastian Contrario, Carlo Mercadante, Mimmo Epifani, Giuseppe Anastasi, Mariella Nava, Raiz, Andrea Mirò, Fausto Mesolella e, in rappresentanza del “Bianca d’Aponte International”, la tunisina M’Barka Ben Taleb, la francese Céline Pruvost (qui in una foto che la riprende accompagnata da Fausto Mesolella), a spagnola Silva Comes e un’italianissima Claudia Crabuzza, che ha cantato in algherese, un dialetto molto, molto simile al catalano. Tra tutti questi nomi non ne va dimenticato uno, quello dell’Orchestra del Premio Bianca d’Aponte guidata dal Maestro Alessandro Crescenzo, fautrice di un lavoro preziosissimo di arrangiamenti che accompagna le finaliste in quasi tutti i brani in gara. Due righe a parte merita la madrina di questa edizione 2015, la fiorentina Ginevra Di Marco. Si presenta sul palco di Aversa con un trio formidabile, capitanato da Francesco Magnelli (che insieme a Ginevra ha condiviso anche l’esperienza CSI, PGR e prima ancora anche l’ultimo album dei CCCP…) alle tastiere, Andrea Salvadori alle corde e Marzio Del Testa alle percussioni.

Voce cristallina e potente, il suo set contribuisce a creare uno dei punti più alti di tutta la manifestazione e quando Ginevra chiama sul palco “tre colleghe” - Elena Ledda, Brunella Selo e Fausta Vetere  -subito si intuisce che qualcosa di particolare sta nascendo. Parte così un miniset strepitoso, prima con Abacada, brano del compianto artista sardo Andrea Parodi (tratto dal suo primo album solista, del 2002, dopo l’uscita dai Tazenda) e poi con una versione unica e irripetibile de Il canto dei Sanfedisti (vedi il video), brano che Fausta Vetere, voce femminile della Nuova Compagnia di Canto Popolare conosce molto bene visto che il brano (di autore anonimo scritto oltre cent’anni fa e ripreso anche da Peppa Barra), è stato rielaborato  da Corrado Sfogli, chitarrista dei NCCP nonché suo compagno di vita e diventato un classico anche del loro repertorio. Le quattro voci creano un’atmosfera che genera dapprima stupore, tanto colpisce il brano per bellezza e intensità, con il pubblico che via via diventa co-protagonista, in un crescendo all’unisono che chiude la due giorni nel migliore dei modi possibili.
Ricordiamo anche che ‘Emercencyl’ è sempre presente con uno spazio di merchandising, fin dalla prima edizione, dove con offerta libera è possibile avere il cd della manifestazione, contenente i brani delle finaliste e un brano di Bianca interpretato dalla madrina di turno. Era un rapporto stretto quello tra Emergency e la giovane Bianca d’Aponte, che i due genitori hanno voluto che continuasse ogni qualvolta se ne presenti la possibilità. E quale migliore occasione della manifestazione a lei dedicata?

Chiudiamo ricordando le dieci finaliste di questa edizione 2015:
Rossella Aliano (Catania), Amelie (Milano), Priscilla Bei (Roma), C.F.F. (Bari), Grazia Cinquetti (Parma), Irene Ghiotto (Vicenza), Helena Hellwig (Milano), Francesca Incudine (Enna), Giulia Olivari (Bologna) e Francesca Pignatelli (Taranto).

 

Per le foto di ringraziano Roberta Cacciapuoti, Roberto Molteni, il portale DIfferenteMente e il Premio Bianca d’Aponte.

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Qui di seguito l’intervista ad Irene Ghiotto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Partiamo dalla fine, da queste ultime settimane che ti hanno vista vincere il concorso 'Bianca d'Aponte'. Chi c'era, ha potuto vivere in prima persona il tuo visto raggiante e l'immagine della felicità stampata negli occhi nel momento della premiazione, quando a fianco di Valentina Cacco, la tua violoncellista, ritiravate la Targa. Tu che ricordi hai?
La sensazione che ho avuto io è stata quella di aver fatto una serie di smorfie incontrollate e buffe, un misto di terrore, panico, spavento, entusiasmo, dettati però dalla gioia pura, in questo hai ragione. In effetti, è stato un bel momento, con tutti quei premi in mano, incredula, orgogliosa e infinitamente grata. Ho vissuto delle giornate splendide. L’accoglienza e l’amorevolezza ricevute dal patron Gaetano d’Aponte e dal suo staff durante la permanenza mi hanno aiutato a stare serena e a vivere bene l’emozione da palco. Ho conosciuto nuove amiche musiciste, donne con cui condividere progetti e aspirazioni. Questa è l’eredità che mi lascia questo Premio.

Parlando del ‘Bianca d’Aponte’ (concorso unico in Italia e dedicato solo a cantautrici), viene naturale affrontare il tema delle donne che scrivono, compongono, cantano. Al di là dei luoghi comuni, dal tuo punto di osservazione riconosci che possa esistere una scrittura al femminile ed una “maschile” o l’unica differenza è la capacità di osservazione, di analisi, di sintesi che ogni artista ha rispetto ad un altro?
Entrambe le cose sono vere, a mio parere. Esiste, evidentemente, una differenza sostanziale fra i punti di osservazione di ciascuno. Ed è questa la maggior spinta di caratterizzazione di ciò che scriviamo, di come lo scriviamo e di come chi legge e ascolta reagisce e ci recepisce. Non posso negare però di riconoscere una certa qual ‘penna femminile’; io la ritrovo dentro di me e anche fuori da me, con tutta la forza e le annesse e connesse debolezze e screpolature.

Anche se ancora “giovane” hai già partecipato a molti concorsi e importanti manifestazioni, come ad esempio Sanremo Giovani, dove hai potuto calcare il palco nazionale più importante (in termini di visibiltà….). Raccontaci quell’esperienza che hai vissuto nel 2013 con il brano Baciami?….
Mi sentivo sufficientemente carrozzata ma non lo ero. Non lo ero e lo riconosco solo ora a distanza di (quasi) tre anni. Non credo di aver ‘sfruttato’ a pieno quell’esperienza; sento come se mi avesse attraversata senza lasciare un segno davvero indelebile. Ricordo molta confusione, fretta, che scopro ogni giorno di più non essere elementi favorevoli alla lucidità e al ‘fare le cose bene’; però mi è rimasta al contempo una grande soddisfazione di esserci arrivata con le mie sole forze e di aver portato a casa un vissuto emotivo e interiore difficilmente ripetibile e, in fondo, unico. È andata come doveva andare e nella misura in cui ero pronta a farla andare in quel momento. Mi rimane senz’altro un primo ep d’esordio che non posso permettermi di definire originale, ma coraggioso senz’altro.

Oltre alla tua attività di cantautrice, ami molto anche il mondo dell’insegnamento. Sappiamo che sei co-fondatrice di una scuola di canto in Veneto. Ci dici qualcosa in più e - alla luce di questa esperienza - come si approcciano le nuove generazioni al mondo della musica dal tuo punto di osservazione?
Esatto, sono co-fondatrice di una scuola di musica, ‘Altramusica’, di cui vado molto fiera. Non è solo un istituto musicale, che già quella sarebbe un’occupazione e una finalità più che nobile. È un vero e proprio contenitore, spazio e luogo d’incontro di teste pensati, che cercano e lottano per trovare nuovi modi di educare alla musica, all’ascolto consapevole, alla scrittura creativa e alla composizione. Sono circondata ogni giorno da ragazzi e ragazze giovanissimi, pieni di risorse. E devo dire che, nonostante i loro mezzi siano diversi da quelli di un tempo, il punto è sempre lo stesso, non cambia: avere dei contenuti e cercare di portarli fuori in modo personale.

Ripensando ai tuoi esordi, anzi ancor prima, ai tuoi primi approcci musicali, da quale strumento a da quale sonorità ti sei sentita attratta? E, ne consegue, quali sono stati i tuoi primi riferimenti musicali in questo senso e se negli anni sono poi cambiati…
Mi sono sempre sentita attratta dal pianoforte, sebbene sia stato l’ultimo strumento che ho considerato di poter imparare. Per prima la chitarra, con il suo intuitivo strumming ‘ecclesiastico’ (come mi piace definirlo), che nel giro di poche settimane mi ha permesso di suonare (male) tantissimi brani. Poi il basso elettrico con le primissime cover band. E infine, a vent’anni, il pianoforte. Mi ricordo ancora quando i miei genitori hanno fatto la pazzia di regalarmene uno a muro, acustico; mi sono praticamente sdraiata a terra dall’emozione. Non lo sapevo ancora suonare eppure sentivo che sarebbe stato uno strumento di cui non avrei più potuto fare a meno, parte imprescindibile del mio linguaggio espressivo. Ho attraversato molti genere e gusti differenti, come capita sempre. Ciò che è cambiato, da qualche anno, è il modo in cui incontro la musica che ascolto: non lascio più che mi arrivi addosso, piuttosto me la vado a cercare; non aspetto che mi travolga ma la rincorro o se necessario, a volte, la schivo.

Ultima domanda d’obbligo: su quali direttrici musicali si muoverà il tuo futuro….
Ho ultimato il mio primo disco da poco. Si intitola Pop simpatico con venature tragiche e si è fatto attendere. A me sembra che abbia compiuto una specie di giro di boa emotivo lento, con una calma irritante, una serenità incurante del mio entusiasmo. È frutto di un intimo rapporto dialettico, sicuramente tormentato e anche un po’ disfunzionale, con il pop. Una relazione annodata e contorta di sesso sfrenato, schiaffoni e serenate al chiar di luna, condivisione e annientamento, doni e rimorsi. È intimo, profondo, meditato, soggettivo. Ma anche dinamico, esplicito, colorato. Apre un dialogo rispetto alle possibilità della forma canzone nei correnti e disagiati tempi moderni. Tempi in cui tutto deve essere veloce, catchy, prepotente; tempi in cui molto risulta poi lieve, fugace, privo di radici. È in questo, difatti, simpaticamente tragico e tragicamente simpatico. Sospettosamente simpatico, autenticamente tragico, fintamente noioso, verosimilmente sincero.

 

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