«Non mi piace andare in Messico, non mi immergo nel Pacifico…» cantano i Telesplash che se ne restano nella graziosa Arezzo a suonare nel loro locale preferito: Bar Milano. Il luogo, ideale o vero che sia, che dà il nome all’album. Un lavoro leggero, allegro, ma da non sottovalutare perché nella leggerezza dei racconti si nascondono ben più profonde morali, un po’ come le favole di Esopo.

I Telesplash ci offrono un brit-pop con sfumature addirittura punk; si divertono a giocherellare con la madrelingua trasformandola in inglese all’occorrenza, come nel pezzo Giulia, racconto di un amore affrontato con simpatia. Ed è proprio questo l’elemento caratterizzante del gruppo: un’autoironia permanente, che ci sottrae piacevolmente alla pesantezza delle solite tragedie personali.

«Perché tu mio amore credi nei miei sogni rock’n roll ed io non so bleffare, scrivo le canzoni troppo pop», frase emblematica che in Domani, come tutto il resto del brano, ironizza su un rapporto di coppia come ce ne sono tanti: quello tra il finto figo e la tipa a cui piacciono i musicisti da boyband, che cantano in inglese nonostante non siano mai stati a New York.

Il mood della “quasi presa in giro” permane per tutto l’album. Ascoltando la track che dà il titolo al disco, Bar Milano, ci si chiede se questi quattro simpatici aretini non stiano facendo la parodia di loro stessi. A chiudere il disco è In America, pezzo da apprezzare particolarmente per ritmica, melodia e intensità dinamica.

In definitiva, i Telesplash sarebbero ottimi candidati alla colonna sonora di un film alla Jack Frusciante è uscito dal gruppo; un film che racconterebbe di un amore vissuto di giovanile dolore, ma quasi divertente per chi lo racconta da fuori; un lungometraggio che in qualche modo rappresenta tutti noi nelle varie sfaccettature, e che sarebbe metafora delle nostre tragicomiche vicende quotidiane.

Vissute, naturalmente, con un album come Bar Milano in cuffia.

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