Su un punto dobbiamo essere tutti d'accordo: aveva ragione lui. Magari poteva non piacere, di certo non piaceva a coloro che consideravano la canzone d'autore come qualcosa di essenziale nello spettacolo e negli arrangiamenti nonché come impegnata per le tematiche. Però quando i suoi concerti riempivano i palasport e i suoi dischi si vendevano a milioni di copie, creando anche un fenomeno di costume (quello dei "sorcini" ovvero la sua truppa di fans) non poteva non aver ragione nel ritagliarsi un ruolo nella musica popolare italiana. Oggi Renato Zero è comunque un personaggio di culto (ci ha messo del suo anche Giorgio Panariello con le sue celebri imitazioni) e le attestazioni di stima per la sua storia musicale sono ormai continue. E quando un artista dall'onorata carriera decide di pubblicare un album di diciassette canzoni inedite (ricordiamo sempre che i successi di Lucio Battisti viaggiavano su una media di otto brani a Lp), tanto di cappello. Zero conferma la vocazione per la melodia, la voglia di arrivare dritto al pubblico e la cura negli arrangiamenti (complimenti all'orchestra diretta dal maestro Renato Serio). Ancora qui, scelto come lancio, è un brano che guarda a un certo rock melodico, Non smetterei più, con Mario Biondi ospite, sembra uscita da un album della ditta Mogol-Battisti del periodo d'oro, Spera o spara ripresenta la vena ironica di Zero già presente nei primi anni settanta con “Paleobarattolo”. Certo non è diretto a chi ha nelle orecchio il cantautorato tradizionale (che non sarà attratto comunque dal disco), ma alla nutrita pattuglia di sorcini di ieri e di oggi che comprerà l'album a scatola chiusa. Ed è questo prima di tutto oggi Renato Zero: una fede.

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