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Il secolo di Mingus e altre storie

Dal solo ai gruppi allargati, nel nome del grande contrabbassista e non, fra pura curiosità e rigore assoluto

Non solo Pasolini, Gassman, Fenoglio... Anche il jazz, nel 2022, ha il suo bravo centenario, che è ovviamente quello di Charles Mingus, omaggiato a vari livelli, concertistici e discografici, da Quintorigo a Roberto Ottaviano, al duo formato da Maria Vicentini, violino e viola, e Salvatore Maiore, violoncello e contrabbasso (foto sopra), in Mingus World (Velut Luna), una decina di brani fra i più noti del grande bassista resi con buon gusto assoluto e altrettanto rispetto, senza che si possa mai parlare di puro ricalco. Cd notevole, come del resto, sempre in tema contrabbassistico ma su temi originali, il solitario Forme e racconti (Setola di Maiale) del trentenne piemontese Marco Bellafiore, che, forte dei servigi dell’elettronica, confeziona un lavoro originale e ardito, senza per questo mai scadere in un eccesso di cerebralità, il che accade anche, chiudendo questo primo cerchio ideale, nell’altrettanto solitario (pur con un paio di sporadiche ospitate) Esercizi spirituali e altre storie (myLab) del violinista Rino Adamo, lui pure sensibile alle malie dell’elettronica, ma i cui momenti migliori coincidono di regola con le sezioni per violino solo (anche sovrainciso), per la bellezza, verrebbe da dire disarmata, del suono. Album di grande rigore e convinzione.

Passando appena oltre, un altro album solitario, però “di repertorio” come “Mingus World”, è Miele amaro (WMusic) del pianista sardo Guido Coraddu, singolarmente tutto dedicato a temi (tredici) di suoi corregionali (Fresu, Ferra, Favata, Lay, Melis, Murgia, Pia, Angeli, Salis, ecc.), peraltro con un’unità estetica e d’intenti che verrebbe da definire “classica”, veramente ammirevole. Piano solo anche per un altro isolano, il siciliano Francesco Branciamore, in realtà batterista, che firma però con Skies of Sea (Caligola) il suo secondo album pianistico, anche qui con mano sicura (tutti suoi i quattordici brani), pur – magari – entro uno spettro espressivo fin troppo circoscritto.

Dalla Sicilia proviene un altro lavoro in solitudine, Unfolding To Be You (We Insist!) del trombonista Sebi Tramontana, da decenni in giro per l'Europa a confrontarsi con i maggiori improvvisatori del continente e non. Tutto questo sapere confluisce nel cd in oggetto, temerario quanto, alla fine, godibile, di grande scuola, laddove temerarietà e solitudine non giovano granchè a un altro lavoro in apparenza analogo, Le melancolie di Tifeo (Setola di Maiale) di Sergio Fedele, che soffia in un inimmaginabile mix di strumenti il cui principale motivo d'interesse è appunto la sua foggia (vedi foto sotto), visto che gli esiti sono veramente modesti, il che accade, pur su livelli un po' più alti, anche in Double Exposure (Amirani) del duo formato da Francesco Massaro e Francesco Pellegrino, entrambi ance varie ed elettronica. Quando l'avanguardia diventa troppo pretenziosa finisce per perdere i suoi legami con la realtà.

 

Una realtà che riemerge invece, anche con espliciti rimandi popolari, in Ma però (Caligola), altro duo fra un clarinettista basso (come, fra l’altro, Massaro), Simone Mauri, e – qui – la fisarmonica di Flaviano Braga. Temi piani e rotondi su cui i due dialogano rigogliosamente. C’è invece la batteria di Francesco Cusa (foto in basso) a duettare con i flauti di Giorgia Santoro in The Black Shoes (Dodicilune) lungo diciassette brevi episodi a doppia firma, concentrati e conchiusi, anche se tempi più larghi avrebbero verosimilmente consentito sviluppi più gustosi. Un terzo duo tra un fiato, la tromba del venticinquenne toscano Jacopo Fagioli, all’esordio discografico, e il pianoforte di Nico Tangherlini contrassegna infine Bilico (AMP), evidenziando un aplomb invidiabile solo qua e là sfociante in un minimo di scolasticità, di rigidezza esecutiva.

Due trii pianistici (internazionali) ci aspettano ora al varco. Il primo è Katharsis (Bondesan/Nowell/Sardina), che in People and Places (Aut) sfoggia ottime geometrie, mai banali, e un felicissimo interplay di gruppo, il secondo è il Subconscious Trio, tutto al femminile (Monique Chao, Victoria Kirilova, Francesca Remigi), il cui Water Shapes (Da Vinci) ha vitalità da vendere e anche qui grande senso del lavoro d’insieme. Due dischi estremamente meritevoli, così come, aggiungendoci una tromba, bella, squillante (Brian Groder), un secondo cd del già incontrato Cusa, con Riccardo Grosso al basso e soprattutto il pianista Tonino Miano, autore di tutti i brani in scaletta. L’album s’intitola Human Pieces (Leo) e ha un andamento accidentato e insieme del tutto coerente che denota chiarezza d’intenti e felicità espositiva.

Con un sax tenore al posto del contrabbasso e maglie ben più larghe (trattasi di free improvisation, peraltro ben calibrata), eccoci a Life Practice (Setola di Maiale) del Mahakaruna Quartet (Cancelli/Resnik/Pacorig/Giust), tre quarti d’ora di musica assai leggibile e mai pretestuosa, laddove, invece, Il bene comune (Hora) dell’ormai ampiamente consolidato Ghost Horse, per l’occasione ampliatosi a sestetto, con ben quattro fiati più basso e batteria, ha un andamento strutturalmente molto più studiato e saliscendi evidenti, sempre nell’ottica di un disegno compositivo ben individuabile.

 

Chiudiamo tornando a Mingus, il cui principale lascito regalato al jazz è senza dubbio quello compositivo, per cui ci occupiamo per il commiato di due cd Dodicilune in cui appunto la scrittura occupa il centro del proscenio. Il primo, Singing Rhythms, Pulsing Voices, si deve oltre tutto a un bassista (come Mingus), il campano-pugliese Massimo Pinca, qui alla guida di un nonetto internazionale (il suo quartetto più un quintetto di ottoni) in grado di tratteggiare i contorni di una proposta composita quanto solida, screziata e ambiziosa, come del resto Monastère enchanté – L’ensemble créatif, firmato a due mani da Francesco Caligiuri e Nicola Pisani, a loro volta alla testa di due diversi ensemble (quartetto più sestetto), con dentro nomi illustri quali Michel Godard, Paolo Damiani ed Eugenio Colombo, per una musica, anche vocale (Francesca Donato), di forte richiamo ancestrale (pagine di Barbara Strozzi, Henry Purcell e Charlie Haden fra le altre) e congruità assoluta, senza scadere mai nel citazionismo o nel ricalco. Due lavori con cui chiudiamo quindi degnamente la nostra scorribanda odierna.     

Foto di Alberto Bazzurro (Mingus World, Cusa)

 

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