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Premio Tenco 2011: Terza serata

Che la serata sarebbe stata strana lo si percepisce subito. Quando anche a San Remo rimbalzano gli echi di quanto sta succedendo qualche chilometro più in giù, anche l'Ariston diventa l'amplificatore di una svolta epocale per tutto il Paese. Una svolta anche nelle piccole cose, se non altro perchè dalla platea e dalla galleria, gremite per via del grande “intruso” che chiuderà questa tre giorni, Luciano Ligabue, qualche timido orecchio potrebbe uscirne con una curiosità nuova, qualche applauso in automatico potrebbe rivelarsi più sentito di quanto sembri.

La prima ad affacciarsi sul palco è Giorgia Del Mese, che da buon parafulmine comincia a intercettare gli umori della sala con tre brani grintosi e spigliati, tra cui spicca Cattivo Tempo.

Poi è già il botto: arrivano i Nobraino, formazione romagnola di omoni enormi e verve deflagrante. Qualcuno rivolta gli occhi appena li vede in frac, papillon e maschera, ma quando il frontman Lorenzo Kruger scivola verso il microfono e intona il primo dei tre inediti, è evidente che stia scattando qualcosa anche nel pubblico. Sì, li ha già presi, la band è inarrestabile, e ogni slancio teatral-acrobatico in più merita soltanto cascate di applausi. E strappano pure un bis fuori (?) scaletta.

Dritti a Paolo Benvegnù, stasera ambasciatore del cantautorato indipendente italiano, che propone alcuni dei brani più suggestivi e massicci del suo ultimo Hermann - Avanzate ascoltate, Love is talking, Ho visto un sogno. Vuoi per la mancanza di tempo, vuoi per un suono non proprio a puntino, Benvegnù non riesce a creare l'atmosfera avvolgente e partecipata che di solito caratterizza le sue esibizioni, ma lascia inevitabilmente un segno.

In punta di piedi e con l'occhio dell'artigiano, arriva la Piccola Bottega Baltazar che adotta Mariette di Georges Brassens e la trasforma in La Marieta (i ragazzi son veneti), poi prende per mano il pubblico in Le rose d'ogni sera, la sempre radiosa La donna del cowboy e in Stefania dorme vestita. L'accoglienza del pubblico è il culmine di un'annata che li ha visti protagonisti di un meritatissimo riconoscimento.

La seconda parte della serata è tutta per le tre Targhe Tenco. La prima va al cantautore ceco Jaromìr Nohavica, che apre all'Ariston l'orizzonte del cantautorato dell'Est Europa (non a caso è stato definito il Guccini di Praga), con suoni a cui siamo abituati, ma parole di una musicalità insospettabile. Eccoci a portata della sofferenza di un popolo intero che ha sofferto moltissimo, proprio alla fine di uno dei momenti più catartici della nostra storia.

In un momento di forte emozione, Stefano Senardi premia un Gigante della storia della nostra musica e un grande amico del Club Tenco: Mauro Pagani. Il riconoscimento del pubblico non manca (un pubblico che, per una volta, lo conosce più per i suoi trascorsi col prossimo ospite che non per la sua molto più emozionante carriera). La sua esibizione è un omaggio alla sua e alla nostra storia: imbraccia una Fender ed è subito Impressioni di settembre. Pagani si sfida doppiamente: con il gospel A Potted Plant, su testo del mistico sufi Hafiz, un'esecuzione di rara tensione e suggestione, un brano che andremo subito a sbirciare nella tracklist del nuovo lavoro, in uscita nel 2012. Il finale è tutto deandriano: prima la “frescona” Ottocento (sacrificata ma il brano è anche fin troppo potente), poi Creuza de ma (e il pensiero corre dove sappiamo). È standing ovation. È, come direbbero gli americani, “history in the making”.

Lo sprint finale è di Ligabue, premiato per il suo ultimo Arrivederci mostro (con qualche storcimento di naso che non vi nascondiamo): viene da sé, il pubblico è tutto (o quasi) per lui. Torna sul palco Mauro Pagani, che accompagna l'Indiano di Correggio mentre riscalda e saluta il pubblico con Buonanotte all'Italia, un pezzo che raccoglie entusiasmi ma stasera fa quasi sorridere.

Cala il sipario anche quest'anno sul Premio Tenco, che, è paradossale, in virtù dei tagli ha avuto uno dei cast più sorprendenti da molto tempo a questa parte. Ovvio, si spera che il sipario non cali definitivamente – per fortuna, l'aria ormai è già diversa.


 

(Paolo D'Alessandro)

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