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  di Annalisa Belluco  ‘Canzoni & Parole’ il festival della canzone d’autore italiana organizzato dall’Associazione Musica Italiana Paris che ha esordito nel 2022 è pronto a riaccendere le luci della terza ...

Teatro Lirico-Giorgio Gaber, Milano

Concerto per la Cramps

Un concerto preparato da tempo, atteso ed impegnativo da parte di chi lo ha immaginato, voluto, accudito, finanziato e, finalmente, realizzato. Stiamo parlando del concerto in ricordo della fondazione della casa discografica CRAMPS che ha compiuto cinquant’anni a novembre dello scorso anno e che ha visto il suo compimento al Teatro Lirico di Milano, oggi intitolato al grande Giorgio Gaber. Il 6 aprile, questa la data del concerto, diventerà una data da ricordare per la storia musicale della città (e non solo). E, a pensarci bene, è anche a causa di un concerto che l’acronimo CRAMPS (Clubs, Records, Agency, Management, Publishing, Spettacoli) è rimasto nella memoria di tanti appassionati di musica e, quindi, il pensiero non può che andare al concerto che il 14 giugno del 1979 si tenne all’Arena di Milano (più in basso la foto del manifesto creato per l’occasione da Ilvio Gallo, creativo e fotografo che tra le altre sue opere non possiamo non ricordare anche la copertina battistiana di “Una giornata uggiosa”). Un concerto organizzato per sostenere le spese mediche a supporto di Demetrio Stratos, ricoverato in un ospedale di New York, che però destino volle se ne andò la sera prima…


 

Ma questo concerto del cinquantesimo è anche parte del percorso per ricordare la figura di uno dei fondatori della CRAMPS, Gianni Sassi, uomo di profonda cultura, visionario situazionista, pubblicitario ed inventore di nuovi linguaggi, esteta finissimo ed iconoclasta convinto. Gli altri fondatori dell’etichetta furono Sergio Albergoni, suo socio nelle attività pubblicitarie (Studio Al.Sa.), Tony Tasinato, produttore ed editore musicale e Franco Mamone, promoter musicale.

Una figura in anticipo sui tempi, la sua, che il Comune di Milano ha voluto cristallizzare nella memoria della città dedicandogli una passeggiata in quel di City Life, esattamente parallela e sovrastante la via dedicata a Demetrio Stratos. Una straordinaria combinazione o, forse, il fato amico…Ma, al di là della singola persona, è anche arrivato il momento di rivalutare un periodo culturale che rese Milano, ancor di più, una città fondamentale per il mondo musicale e sociale del Paese, in un periodo in cui erano esplosive le contraddizioni politiche che vi avevano ‘cittadinanza’ e che, spesso, alle armi della critica opponeva “la critica delle armi”, con le ben note e tragiche conseguenze. La musica, in quegli anni, oltre che essere una piacevole colonna sonora della gioventù, rappresentava anche uno straordinario spartiacque esistenziale tra chi voleva esprimere sé stesso, i propri desideri, la propria spinta alla libertà rispetto ad una realtà fortemente penalizzante e priva di vie di uscita dal punto di vista sociale, culturale, politico, lavorativo, esistenziale. Senza dimenticare che la musica ‘per i giovani’ era fatta proprio dai giovani e questo non era elemento secondario…e molti di quei giovani tali sono restati. Almeno nello spirito.

Prima del concerto ho incontrato un caro amico con il quale ho condiviso il cortile in cui, in tanti baby boomers, siamo cresciuti (quello della via, per noi mitica, Mar Nero di Baggio) che mi ha ricordato che assistemmo, insieme ad altri amici sempre dello stesso cortile, al concerto che gli AREA tennero al vicino Teatro Uomo (non più attivo, purtroppo, da anni…) nella primavera del 1977. Un secolo fa, una vita fa e, dopo ben quarantacinque anni, ritrovarsi in una serata così è davvero il segno che la musica è realmente un medium potente che, quando ti conquista, non ti abbandona più. Davvero un buon viatico per immergersi in un tempo lontano eppure ancora così vicino. Ogni volto, conosciuto ed incontrato, è un quaderno di memorie che si riapre, che desidera attenzione, che richiama ai “glory days” della giovinezza quando il mondo sembrava a portata di mano ma, poi, gli eventi avversi hanno allontanato l’agognata meta. Ma a quelli come noi non importava l’obbiettivo finale, perché l’importante era il viaggio e non l’approdo. Erano importanti gli incontri, le esperienze, la scuola, la conoscenza, gli amici, il futuro, il lavoro e poi chissà. Certamente la cultura e la musica con tutti i suoi misteri, le sue illusioni, le sue lusinghe, i suoi insegnamenti, le sue narrazioni, le sue sicurezze. Anche, talvolta, le sue delusioni…

La musica e tutto il mondo che vi ruotava intorno, così come le sue “leggende”. Ad esempio quella del concerto che John Cage tenne il 2 dicembre del 1977, proprio al Teatro Lirico (vedi come gira la ruota dei ricordi?), come dal palco hanno sottolineato Eugenio Finardi e Patrizio Fariselli che a quell’evento presenziarono, ricordando come Cage ‘costrinse’ gli spettatori che assistevano alla sua esibizione Empty words, parte terza (fortemente voluta da Gianni Sassi, che dette poi alle stampe, con la sua CRAMPS, l’album di questa particolarissima esibizione e dalla radio libera Radio Canale 96) a confrontarsi con una situazione inattesa e a reagire nelle modalità più disparate, al limite dell’esasperazione. Quell’evento fu un vero pugno nello stomaco per tutti coloro che, evidentemente ignari di quale fosse il reale repertorio dell’artista americano, si aspettavano uno spettacolo di musica contemporanea e invece si ritrovarono di fronte ad un signore di mezz’età che leggeva un testo oggettivamente molto originale, coadiuvato da una scenografia composta da un tavolino, un microfono, una lampada da tavolo. Il testo, formato da estratti dal ‘Journal’ di Henry David Thoreau, era depurato di alcune frasi, parole, sillabe per arrivare a costruire una serie di suoni circondati dal silenzio e accompagnati da immagini proiettate sullo schermo del palco rappresentanti disegni che lo stesso Thoreau aveva inserito nelle pagine del suo testo. Ecco, in quel tempo era anche possibile proporre, con molto coraggio ma lucidamente, questa modalità di espressione artistica controversa, contraddittoria, antagonista, provocatoria e situazionista… (clicca qui per il brano)

In quel tempo si potevano proporre esibizioni al limite ma con una logica che era racchiusa nell’intento di provocare reazioni, di creare opportunità di pensieri alternativi, diversi, nuovi, di generare ‘conflitti’ con la consapevolezza che dal conflitto, dalla diversità, potevano scaturire nuove strade, nuovi linguaggi, nuove modalità interpretative della realtà culturale. Paradossalmente, si trattava di una forma di laicismo che invitava a cercare dentro sé stessi brandelli di spiritualità. Se in Sassi conviveva tutto e il suo contrario, il provocatore che albergava in lui, non poteva che costruire, dal punto di vista discografico, una macchina artistica provocatoria, contraddittoria, conflittuale ma in anticipo rispetto ai tempi, spiazzando come sempre gli inseguitori.

In questa dinamica si può collocare la presenza nella CRAMPS di due gruppi agli antipodi quali furono gli AREA International Popular Group e gli Skiantos. I primi furono creatori di un suono unico, nuovo, rivoluzionario, che prendeva spunto dal jazz, dalle sonorità balcaniche, dall’avanguardia, dalla provocazione sonora (vedi, ad esempio, l’happening de La mela di Odessa oppure il concerto improvvisato all’Università Statale di Milano il 27 ottobre del 1976). I suoi componenti erano musicisti di spessore e di talento, potenti e decisi a tenere il palco qualunque cosa accadesse e con un front man strepitoso quale era Demetrio Stratos. Dall’altra parte della “barricata” c’erano gli Skiantos; certamente non all’altezza della qualità strumentale che i componenti degli AREA esprimevano, ma erano beffardi, provocatori, iconoclasti, istintivi. Il gruppo bolognese era capace di improntare i concerti sul piano dell’ironia, cercando, chiedendo, quasi ‘supplicando’ una reazione da parte del pubblico ai loro sberleffi (“siete un pubblico di merda” era il loro complimento preferito…).
E il pubblico reagiva…oh, se reagiva…e si divertiva. Abbiamo preso giusto tre esempi di quel caleidoscopio che era la Cramps - John Cage, la parola si fa silenzio, AREA, la potenza della visione sonora e Skiantos, la risata che ti seppellisce – per riuscire a dare un barlume di ide di cosa fosse quel frullatore creativo che animava gli uffici di Sassi & c (qui una sua foto di repertorio).

E venendo all’oggi, il 6 aprile questi tre “fantasmi” si sono meravigliosamente tramutati in realtà sul palco del teatro Lirico-Giorgio Gaber. Gli AREA Open Project, condotti da Patrizio Fariselli alle tastiere e pianoforte, con il supporto di Stefano Fariselli ai fiati, Walter Paoli alla batteria, Marco Micheli al basso elettrico e con la voce della straordinaria Claudia Tellini, hanno incantato il pubblico con la presentazione dal vivo, per la prima volta in assoluto (in due momenti separati), dell’album “Arbeit macht frei” (album che tramortì tutti coloro che l’ascoltarono per la prima volta…). La perizia delle mani volanti di Fariselli (qui sotto nella foto) a ricamare note è quella di sempre e, in alcuni passaggi, fa davvero pensare ad una magia il fatto che, a settantadue anni, questo maestro di suoni possa essere ancora così incredibilmente bravo e disinvolto. Lo stesso si può dire della rutilante batteria di Walter Paoli, da anni al seguito dei progetti di Fariselli. E che dire del lavoro ai fiati di Stefano Fariselli, dei giochi ritmici del basso di Micheli e della voce, intensa ed evocativa, di Claudia Tellini che, ovviamente, non cerca nessun confronto (inarrivabile e impossibile) con quella di Stratos ma che riesce ad esprimersi con una modalità mistica e carnale al contempo, capace di distillare perle vocali all’interno di brani certamente di non facile interpretazione.

 

Il set si è aperto con la proposta di Danza del labirinto (un brano tradizionale greco, riarrangiato da Fariselli, presente nel suo lavoro solista dal titolo “100 Ghost”). Un brano di delicata fattura ma forte suggestione che attraverso i suoni delle tastiere e la splendida voce della Tellini ha evidenziato la caratura artistica del progetto della band. A seguire un suono esile e cosmico emerge dal silenzio, come a voler illuminare il teatro…È la melodia di Cometa rossa che avanza lentamente e con delicatezza. Il riff, giocato tra tastiere e batteria, apre le finestre del ricordo alla visione di Demetrio che canta, con enfasi e potenza, uno dei brani più noti degli AREA che la voce della Tellini maneggia con grande autorevolezza.

 

Viene, quindi, il momento dell’esecuzione dell’album “Arbeit macht frei”, con l’intro potente di Consapevolezza dove il passaggio pianistico compone una sorta di campo neutro tra la dinamica sonora trascinante del brano e la cantabilità del testo. Anche in questo brano emerge, con decisione, l’intensità interpretativa di Claudia Tellini, davvero una gradita sorpresa per chi non l’avesse ancora ascoltata dal vivo così come lo è Stefano Fariselli al sax (e ai vari fiati suonati nel corso del set). Arbeit macht frei ha come introduzione l’aneddoto raccontato da Fariselli sul suono del gong, presente nel brano, ricavato dalla sua vibrazione all’interno di una bacinella d’acqua ed acquisito alla registrazione in una maniera che più avventurosa non si potrebbe immaginare. Un suono pensato (e fortemente voluto) da Stratos e ripresentato da Fariselli nel corso dell’esecuzione del brano che, come da originale, inizia con un suono cupo, spettrale e sincopato prodotto dalla batteria a cui si aggiungono, via via, i più disparati suoni ambientali che creano una situazione di forte attesa (in questo aiutano, certamente, le note del flauto traverso). All’ascolto del brano non può sfuggire che nei suoni è presente una sorta di angoscia che ben si accorda con il titolo, dalla triste memoria, del brano che al momento giusto apre alla parte cantata e immediatamente ci ritroviamo catapultati nella capsula del tempo. E infatti 240 chilometri da Smirne è la quasi doverosa prosecuzione sonora dei brano precedente, con il sax di Stefano Fariselli a costruire montagne di note, la sezione ritmica a circondarle di un’atmosfera carica di tensione (con il basso che interpreta i vari passaggi sonori con assoli che pare ricordano quasi i cerchi che si spandono nell’acqua) e le note delle tastiere sempre pronte ad afferrare ogni spazio utile per inserirsi con la propria forza interpretativa a creare il giusto climax sonoro ad un brano intenso che nella parte finale porta l’atmosfera, anche solo per qualche istante, alle note immortali dell’apertura di “Momenti di gloria”. 

 

Gli Skiantos con la loro aria paciosa e iconoclasta hanno ben rappresentato l’altra faccia della medaglia CRAMPS. Certo, la loro irriverenza di oggi (qui una foto del gruppo durante la serata) è solo di facciata anche perché… l’età ha fatto la sua parte e Roberto “Freak” Antoni non è più tra noi dal 2014. Però il gruppo è stato protagonista di un bel set che, fra aneddoti, battute, ricordi e canzoni al fulmicotone (Karabignere blues, Io ti amo da matti etc.) ed un sound alla Ramones, hanno fatto divertire il pubblico e, nello stesso tempo, hanno ricordato che “ai loro tempi” cantare quelle canzoni era un atto irriverente che poteva portare (come avvenuto a “Freak”) a passare qualche ora in una caserma dei Carabinieri… Simpatici, con l’urgenza di suonare, e anche se nel corso degli anni tante sono state le defezioni e gli innesti, le chitarre dei fratelli Testoni, “Fabio “Dandy Bestia” e Luca “Tornado”, hanno avuto il compito di rappresentare le punte di diamante di un sound aggressivo, scanzonato e credibile rispetto ai testi proposti. Una sincera e gratificante ovazione ha salutato la fine del loro set.

Altro maestro di cerimonie della fucina CRAMPS è stato Eugenio Finardi, che in quella casa discografica iniziò la sua vera carriera artistica e lì giunse grazie al suggerimento del suo “fratello maggiore”, Demetrio Stratos (provenienti, entrambi, dalla Numero Uno, casa discografica di Battisti e Mogol). Finardi non ha proposto suoi brani, bensì un ricordo di Gianni Sassi insieme alla serata del 2 dicembre del 1977 e così, richiamandosi a quell’evento, ha recitato alcuni passaggi di “Empty Words, parte terza” in due differenti modalità. La prima in italiano e la seconda (traduzione della prima) in inglese. Il tutto nell’assoluto silenzio del pubblico. Nella parte recitata in inglese lo ha accompagnato, al pianoforte, il maestro Carlo Boccadoro che lo ha fatto creando suoni dissonanti provenienti sia dalla tastiera dello strumento che dalla manipolazione delle sue corde. Un set di circa venti minuti di assenza di tempo, immersi in un silenzio quasi religioso nella prima parte della lettura e colmo di attesa per i suoni prodotti dal pianoforte nella seconda. Anche questa esibizione riassume la filosofia di un’etichetta, e del suo creatore, costruita sulla capacità di colpire, di stupire, di chiedere una reazione fisica (come avvenne con Cage) o, almeno, emozionale. “Non ho nulla da dire, ma lo sto dicendo…”: totale situazionismo, appunto… 

 

Dal violino di Lucio Fabbri (anche lui presente nella serata del 14 giugno 1979), dalle chitarre acustiche di Massimo Germini e Paolo Bonfanti (qui sotto nella foto) a cui si aggiunge la sezione ritmica, partono le note per un trittico di brani che fanno atterrare nel teatro un altro lato - notevole - del ‘portafoglio’ CRAMPS (oltre che una dedica speciale alla persona di Demetrio Stratos). Si parte con Pane quotidiano di Alberto Camerini contenuta in quell’album originale e pieno di vita che è “Cenerentola e il pane quotidiano”, di cui viene subito alla memoria la geniale copertina. A seguire Maestro della voce, la dedica che la Premiata Forneria Marconi regalò alla memoria del cantante degli AREA nell’album “Suonare, suonare” e, a chiudere, una brillante versione di Musica ribelle, canzone di apertura dell’album “Sugo”, che lanciò Finardi nell’empireo della discografia italiana e che, a partire dall’intro di batteria al fulmicotone, ancora oggi è godibilissima e iconica, riassunto straordinario di tempi “ribelli, genuini ed irripetibili” che chi ha avuto la fortuna di vivere e frequentare, non ha, interiormente, mai abbandonato. Brani che hanno presentato il lato più rock e cantautorale di una etichetta capace di proporre l’avanguardia più radicale con le collane ‘Nova Musicha’ e ‘Diverso’ e, insieme, cantautorato innovativo con i ritmi brasiliani di Camerini ed il rock attraversato dal blues e dall’anima degli Stones di Finardi. Nessuna contraddizione, solo l’arte declinata in maniera differente.

 

Arriva il momento anche per Andrea Tich (qui nella foto) che, con la sua chitarra acustica a dodici corde, armonica a bocca  e una voce ancora potente e scintillante, ha proposto tre brani dall’album (il primo della sua carriera) “Masturbati”, il cui titolo venne scelto direttamente da Gianni Sassi. Un azzardo, uno sberleffo, una provocazione…o tutte queste cose insieme. Anche se Tich è stato una meteora nel panorama CRAMPS, la sua carriera è comunque proseguita con altri album, anzi, questa è stata una bella occasione che ha spinto molti ad andare a riascoltarsi i suoi lavori successivi.

 

A questa performance ha fatto seguito, con il ritorno sul palco del maestro Boccadoro, il brano Dreams, composto da Cage nel 1948. Un brano delicatissimo, suonato nel più assoluto silenzio. Un brano che dimostra che la musica ambient era stata immaginata e creata già nei primi anni del secondo dopoguerra in quella grande fucina d’arte e cultura che, all’epoca, era New York.  Il secondo set di AREA Open Project si apre con i fratelli Fariselli impegnati in una ‘composizione/provocazione’ di Cage dal titolo “0’00”. Cioè una partita a carte…Carte che, lanciate su un tavolino di metallo (amplificato, come le due sedie, con microfoni e speciali pick up progettati dal sound engineer del gruppo, Andrea Pettinelli) hanno riempito il silenzio del teatro con i loro suoni secchi e cadenzati. Prima dell’esecuzione della seconda parte di “Arbeit macht frei”, il gruppo ha eseguito una delicata versione di Povera patria dell’indimenticato Franco Battiato di cui, come è stato ricordato nel corso della serata, Sassi curò l’immagine all’inizio della carriera (ricordate la famosa pubblicità di un divano…? Ricordate le copertine di “Fetus” e di “Pollution”? Ricordate la campagna pubblicitaria aggressiva fatta di domande quali “…e se lo uccidessimo?). Il ‘grande spirito’ dell’artista siciliano si è quindi materializzato con le liriche cantate da Claudia Tellini (qui nella foto in basso) e dalle note del pianoforte suonate da Patrizio Fariselli. Il tutto immerso in un silenzio infinito disintegrato dall’applauso liberatorio del pubblico alla fine del brano che, puntualmente, ogni volta che lo si riascolta commuove sempre.

 

Suoni oscuri e tenebrosi sono l’incipit de L’abbattimento dello Zeppelin, brano che immediatamente rende concreti i tempi difficili che incombono sul nostro presente. Sono suoni provenienti dal passato, è vero, eppure mai così attuali e moderni. La batteria e la voce si adagiano sul tappeto di note fluide create dal pianoforte e ghermiscono l’attenzione degli spettatori, letteralmente ammaliati dalle linee ritmiche del brano che termina in un fragore di suoni mentre la fantasia, seguendo i vocalizzi vocali prodotti dalla Tellini e dall’atmosfera creata dagli strumenti tutti, osserva il disfacimento del grande aeromobile piombato nella polvere, immagine e metafora di questi giorni. Come un vento portatore di notizie si presenta invece Le labbra del tempo, brano che si manifesta attraverso liriche cantate e vocalizzate, mentre il suono delle tastiere corre veloce ad attraversare i movimenti di basso-batteria in un gioco di rimandi che si incastra in maniera perfetta all’interno di sonorità complesse e intriganti (oggi, forse ancor più di ieri). Una grande lezione strumentale e di genialità compositiva. E si arriva così al culmine dell’ultimo – e atteso - brano (il primo nell’album) Luglio, Agosto, Settembre (nero) che inizia, come nell’originale, con l’ascolto della famosa “voce registrata in un museo del Cairo” (e sappiamo che non era così…), subito raggiunta e superata dalla voce di Claudia Tellini che ricama l’interpretazione vocale di un testo che tutti i presenti certamente conoscono mentre le note del pianoforte la sostengono nel canto. A seguire, lo straordinario inciso musicale (in origine suonato dalla chitarra di Paolo Tofani filtrata con il sintetizzatore) mentre la voce della Tellini incede nel canto, attraversando il suono delle tastiere filtrate ed il suono jazzato con gli strumenti che esprimono, con grande fluidità, un incedere quasi fosse il passo dei protagonisti dell’iconico dipinto ‘Il Quarto Stato’, con una dinamica di consapevolezza della propria forza. Finisce così l’esibizione degli AREA Open Project che ha chiarito (qualora fosse necessario ai più giovani presenti in sala) la novità che furono gli AREA International Popular Group, costruttori di un suono ancora oggi autorevole e senza paragoni. 

Anche se ormai si è superata la terza ora di spettacolo, Jo Squillo -  che ha presentato in maniera impeccabile la serata ricordando, tra le altre, il suo primo incontro con Sassi e l’incisione del primo album del gruppo in cui militava, Kandeggina Gang - ha spinto per dare spazio ad una jam tra i musicisti sul palco per una inattesa versione di Wind cries, Mary del grande Jimi Hendrix, con il pubblico in piedi a battere il tempo. Una versione particolarmente riuscita e apprezzata e subito dopo, per finire veramente, quale migliore commiato se non Gioia e rivoluzione, un brano che ha riportato tutti i presenti indietro nel tempo perché, diciamoci la verità, si vorrebbe tutti, sempre, ricominciare a sognare di vivere con gioia nel mentre si è impegnati a fare la “rivoluzione”. Che poi, a pensarci bene, forse non l’avevamo capito ma la rivoluzione più importante è quella che trasforma, soprattutto interiormente, chi si impegna a farla.

Dopo tre ore e sette minuti, il concerto è terminato e il sipario si chiude. Rimane il positivo risultato del grande lavoro di coloro che si sono impegnati per la sua realizzazione (un particolare ringraziamento va a Stefano Piantini, di Redshift). Un piccolo grande sogno per ricordare la figura di Gianni Sassi e, anche, per riprendere e rinnovare la sfida artistica e culturale che gli anni ’70 rappresentarono per la società italiana. Milano è stata sempre all’avanguardia nel “dettare la linea” dei tempi nuovi. Basti pensare alla genialità di Elio Fiorucci, alle riviste culturali proposte da Sassi che hanno germinato tante altre idee e opportunità, alla proliferazione delle radio libere che inondavano l’etere cittadino togliendo potere al monopolio RAI, facendo ascoltare suoni nuovi, parole diverse, pensieri alternativi, mettendo “sotto accusa” la voce del potere unico. E le riviste di musica e non solo (vedi il mondo creato da Re Nudo, oggi rinata con l’obbiettivo di raccontare nuove forme di cultura necessarie per comprendere come potrebbe delinearsi il futuro, qui la copertina del nuovo n. 1) che portavano informazioni e conoscenze altrimenti impossibili da raggiungere attraverso la stampa tradizionale, la RAI TV e quella radiofonica. Milano ha certamente vissuto anni difficili, “anni di piombo” ma anche anni esaltanti e, senza per forza mitizzarli, da non dimenticare bensì da utilizzarli come trampolino di idee per costruire una cultura alternativa contro il monopolio dell’ovvio, dello scontato, di quella cultura plastificata e di facciata oggi così dilagante, imperante, vincente (!?!). Ma qui la lezione di Sassi può essere nuovamente utilizzata per cantare nuove canzoni, per suonare nuova musica, per inventare nuovi linguaggi per continuare ad avvisare che il Re è Nudo e che in tanti lo hanno capito, da tempo, e non vogliono esserne complici…

Le foto del concerto del 06 aprile sono di Giovanni Tagliavini

P.S.:
Un ringraziamento a Patrizio Fariselli per il dettaglio relativo all’amplificazione della partita a carte…

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In dettaglio

  • Data: 2023-04-06
  • Luogo: Teatro Lirico-Giorgio Gaber, Milano
  • Artista: Concerto per la Cramps

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