ultime notizie

Nuovo album per Roberta Giallo, anticipato ...

Quante volte aprendo un giornale, che sia cartaceo oppure online, veniamo travolti da notizie di attualità, cronaca dai toni negativi che ci predispongono a un senso di smarrimento e depressione ...

Fabio Barbero

Giorgio Gaber, Sandro Luporini e la generazione del 68

Il libro di Fabio Barbero costituisce un evento capitale (un discrimine, un “prima” e un “poi”) nella storia della critica su Giorgio Gaber e questo per vari motivi che cercheremo di seguito brevemente di precisare.

In primo luogo spicca, fin dal titolo del libro, l’importanza del ruolo di Sandro Luporini nel costituirsi e svilupparsi del ‘Teatro Canzone’ e credo sia la prima volta nella storia della critica gaberiana di solito dedicata al solo nome del cantautore milanese. Anzi, afferma in questo senso Barbero, che se c’è un rimando biografico nel Teatro Canzone (che tende però sempre a essere, tutt’ al più, una ‘biografia oggettivata’ e generazionale e tre infatti sono i protagonisti fin dal titolo) non è al ‘privato’ di Giorgio Gaber ma a quello di Sandro Luporini. Facciamo (a conferma e con l’autore) un esempio, Gildo, e un riferimento all’esperienza di malattia e d’ospedale e di riscoperta della vita narrate in quella canzone… In realtà tutto nasce da un momento preciso della vita di Luporini che così lo descrive: “Ero in ospedale per una banale appendicite dove mi trattennero per più di due settimane. Ora tutto è cambiato e ti cacciano fuori appena possono… Dicevo, Gildo nasce da quella mia esperienza in ospedale” (cfr. Barbero 225 e 402; da ora il libro è richiamato solo col numero della pagina).

Allora, possiamo chiederci, come fa Gaber a rendere credibile questo racconto fino a farlo sembrare suo? La risposta di Barbero è netta ed esplicita: Gaber s’immedesima in un racconto che avrebbe potuto essere suo, che sta nelle sue corde emotive e nella sua sensibilità ma per la cui espressione non avrebbe mai trovato le parole, mentre era invece perfettamente in grado di trovare la musica e la “faccia giusta” per interpretarle e portarle in teatro. Per inciso, ma è una questione fondamentale e per tornare a Gildo, Gaber ha in effetti avuto un’infanzia e un’adolescenza fortemente “ospedalizzate” (cfr. p. 256;) e dunque facile in questo caso l’immedesimazione ma altre volte le vicende delle parole di Luporini non avevano nessun contatto con la biografia di Gaber ma solo si aprivano perfettamente alla sua capacità immedesimativa e interpretativa. Scrive magistralmente Barbero: «Chi è abituato a stare sulla scena o dietro le quinte, gli artisti e i loro critici, sa benissimo che il concetto di autenticità o di sincerità non ha ragion d’essere nel mondo dello spettacolo proprio per il fatto che anche la parola apparentemente più autentica e sincera resta pur sempre la parola di uno spettacolo dove tutto è studiato fin nei minimi dettagli. Ma questa “ovvietà” è raramente condivisa da chi sta in platea. C’è una specie di reciproco “mentirsi” che semiologi come Ubersfeld hanno ben messo in luce. Eppure, è su questo implicito e consentito malinteso che si regge tutta la magia del teatro e che si è retta tutta la magia della “sincerità teatrale” di Gaber» (p. 181) dove è da sottolineare che è questo esattamente ciò che pensa Gaber del “Teatro Canzone”: «I miei spettacoli sono spudorati: toccano aspetti molto intimi. Mai autobiografici. Detesto l’autobiografia» (p. 225).

 

Chiarito tutto questo, ne viene una domanda cruciale e fondamentale: Ma allora di chi sono le parole del “Teatro Canzone”? Anche qui la risposta di Barbero è precisa e documentata: le parole del Teatro-Canzone sono in origine di Luporini (qui in alto una foto di Luporini tratta dall'archivio ADAC) ma poi diventano di Gaber anche attraverso un confronto dialettico concentrato e appassionato. Ricorda Ombretta Colli (moglie di Gaber) le tante notti in cui Luporini veniva a svegliare Giorgio che si era appena assopito per dirgli di aver trovato (finalmente!) la parola che cercavano e Gaber si rivestiva e tiravano l’alba ad armonizzare il tutto (la location di queste notti travagliate ed entusiasmanti erano prima gli alberghi di Viareggio e poi la casa che Gaber aveva comprato proprio sulle colline di quella città per poter scrivere con Luporini, che era viareggino, il loro “Teatro Canzone”). Ma, precisato tutto questo, ne segue un'altra domanda non meno decisiva: quanto di Gaber c’è nelle parole di Luporini? Non abbiamo ancora la possibilità di studiare i manoscritti del “Teatro Canzone” e, in realtà, non sappiamo neanche se esistano o siano stati distrutti o chi li conservi; a questo proposito Barbero ci ricorda che nel volume di Guido Harari dal titolo Gaber. L’illogica utopia Autobiografia per parole e immagini (edito da Chiarelettere nel 2011 con la collaborazione della Fondazione Gaber) «troviamo una ventina di pagine che contengono foto di manoscritti di alcuni testi del “Teatro Canzone”, con relative correzioni o soppressioni di frasi e parole. Il lettore rimane nel dubbio se si tratti della scrittura di Gaber o di Luporini ma in realtà si tratta della scrittura di Luporini» (p. 23). E allora, se siamo certi che l’impianto musicale e recitativo del “Teatro Canzone” sono di Gaber, come risolvere il problema della paternità delle parole che ne sono indubbiamente il cardine? In assenza di prove documentali (i manoscritti) Barbero svolge un altro tipo di indagine che dà risultati inequivocabili: studia e analizza i testi della biblioteca di Luporini e lo interroga con precisione su quali fossero le sue letture ed ecco, a titolo d’esempio, un piccolo risultato inequivocabile che trascriviamo di seguito.

 

A un certo punto Gaber Luporini in un loro spettacolo dicono: «Cantare, cantare le Laure le Beatrici. Mettere incinta le cameriere. E accorgersi di avere sempre adorato a buon mercato». Barbero sa che uno dei testi cardine di Luporini è Minima Moralia di Adorno nell’edizione del 1954. Bene, Barbero non solo legge tutto il libro di Adorno ma legge anche l’Introduzione di Sergio Solmi al libro di Adorno ed ecco la sua conclusione: «Anche questo passaggio è stato “rubato” all’introduzione di Minima Moralia. Ecco quello che scriveva Sergio Solmi del giovane americano degli anni 50: “Abituato ad adorare a buon mercato, a cantare le Laure e ingravidare le cameriere”» (p. 188).

Non ci sono dubbi dunque sul fatto che quella è la fonte e che l’autore originario del passo è Luporini. Sembra quasi una magia ma siamo entrati davvero nella bottega artigianale del “Teatro Canzone” e stiamo vedendo (forse per la prima volta) come nasce il “Teatro Canzone”. E questa straordinaria e rivelatrice “radiografia” Barbero la ripete decine e decine di volte riguardo ai prestiti che da Celine, Adorno, Montale, Dostoevskij, Laing, ecc. passano prima a Luporini e arrivano poi a Gaber. E allora forse andrebbe letta con più attenzione una risposta/dichiarazione di Luporini contenuta nell’ultima pagina del volume di Sandro Neri dedicato al cantautore milanese: «L’eredità di Gaber? Aver creato un genere, un mix di teatro che non era solo teatro, di filosofia da ignoranti e di letteratura rubata; (…) (In uno stesso pezzo) poteva comparire di tutto, da Shakespeare a Celine, tutto purché questi mischiamenti fossero funzionali a quello che volevano dire e procurassero una forte e mozione nel pubblico» (cfr. anche p. 417). Cioè, per capire come è nato il “Teatro Canzone”, “bastava” leggere tutto quello che avevano letto prima Luporini e poi Gaber… e ancora, per aggiungere un nome, e fare un esempio capitale, bisogna aver letto “tutto Pasolini”. Scrive a questo proposito Barbero: «I nostri autori riscoprono Pasolini all’indomani della sua scomparsa. Nei primi mesi del 1976 Gaber se ne innamora e “legge tutto di lui”». E allora Barbero che fa? Ovviamente legge tutto Pasolini e trova moltissimi di “prestiti” e, più ancora, di suggestioni complessive e capitali per l’intero “Teatro Canzone” e arriva a documentare testualmente che non si possono capire alcuni spettacoli del “Teatro Canzone” senza Pasolini.

 

Certo, alla luce del poi, possiamo pure dire che non era difficile arrivare a questi risultati, bastava però avere l’intelligenza e la pazienza di farlo invece di ripetere le cose più banali e scontate di cui sono piene moltissime delle monografie gaberiane (la mia, ad esempio, e infatti Barbero la cita una volta sola e probabilmente per carità di patria, e però, in fondo al suo prezioso volume, mi ringrazia per avergli regalato tutto il mio archivio cartaceo su Gaber… che lui non era “quasi “manco nato e io… ma siccome io, come Giovanni Battista, so riconoscere il mio Maestro…). Tornando seri, e davvero molto seriamente, vorrei dire che le pagine di Barbero non sono mai banali e scontate ma sono invece sempre fondative e rivelatrici di nuove e più valide interpretazioni testuali e complessive del “Teatro Canzone di Gaber e Luporini” (mio unico vanto aver usato questa locuzione in modo intuitivo fin dalla mia storia della canzone d’autore del 1998… in maniera intuitiva, appunto ma qui ci sono 450 pagine di prove e documenti!). D’ora in avanti cioè, per parlare di Gaber, o si sono lette tutte le quasi cinquecento pagine di Barbero o come diceva Jannacci, “prego andare!”. Oppure si fa, magari pure meglio di lui ma non credo sia facile, quello che Barbero ha dichiarato di aver fatto con assoluta semplicità: «Per quanto riguarda infine gli apporti letterari e filosofici, numerosi nel Teatro canzone, sono andato alla ricerca di tutte le possibili fonti degli spettacoli analizzati. Ho letto e “spulciato” tutte quelle opere a cui sappiamo con certezza documentata che i nostri autori si sono ispirati» (corsivi e sottolineature mie; per inciso il testo di Barbero è stato vagliato da una commissione di professori dell’Università della Sorbona, Parigi, che di fatto ha abilitato Barbero alla docenza universitaria; questo libro è pertanto un altro grande risultato di un altro nostro straordinario “cervello in fuga”: Fabio infatti lavora e vive e insegna in Francia (qui nella foto) ma sarebbe bello potesse tornare in Italia ad insegnare “Storia della canzone”… Signor Ministro della Cultura e del Merito, prenda nota!).

Ora però, illustrata sommariamente la metodologia di Barbero, dobbiamo parlare di come è organizzato il volume. In primo luogo va segnalato che, pur essendo un volume di oltre quattrocento pagine, la ricerca di Barbero non riguarda l’intero percorso di Gaber o l’intera parabola del “Teatro Canzone” ma solo il primo decennio, quello degli anni Settanta. Vengono così sommariamente ricostruiti i primi spettacoli (Il signor G 1970-1972; Dialogo tra un impiegato e un non so, 1972; Far finta di essere sani, 197) e invece analizzati (forse sarebbe meglio dire vivisezionati testualmente) tre spettacoli decisivi quali: Anche per oggi non si vola, 1975; Libertà obbligatoria, 1976; Polli d'allevamento, 1978; cui si aggiunge una più rapida ma capitale disanima di Io se fossi Dio, 1980 e Anni affollati, 1981 (Barbero ha però promesso a noi lettori e all’editore Arcana - a cui va il merito di aver pubblicato un libro di altissimo valore - due altri volumi dedicati agli spettacoli di Gaber e Luporini degli anni Ottanta e Novanta).
E visto che stiamo parlando di titoli, per inciso, ecco ritrovata da Barbero la fonte del celeberrimo Far finta di essere sani: «Sono certissimo che un gran numero di guarigioni di psicotici consiste semplicemente nel far finta di essere sano» da R. D. Laing, L’io diviso. Studio di psichiatria esistenziale, Einaudi, Torino 1969.

 

Detto tutto questo, va segnalato un altro straordinario apporto di Barbero. L’Autore non lavora infatti solo sul testo degli spettacoli ma anche sul contesto prossimo, interroga cioè decine e decine di fonti prossime a Gaber e Luporini e che indubbiamente servono a comprenderne meglio il pensiero e ad illuminarne le intenzioni. Si presti attenzione cioè al titolo del volume che come già sottolineato, è tripartito: Giorgio Gaber, Sandro Luporini e la generazione del 68, scelta chiarissima che ci porta a una ulteriore precisazione: con la mia locuzione “Barbero interroga decine e decine di fonti prossime agli autori” intendo dire che segue due “piste”; la prima sono ovviamente i libri e i saggi che sono stati scritti negli anni Settanta (o negli anni successivi) sul Sessantotto e dintorni, ma poi ci sono decine e decine d’interviste dirette e originali fatte da Barbero ai protagonisti e “compagni di viaggio” di Gaber e Luporini. Barbero ha incontrato cioè (in maniera diretta o indiretta) Sofri, Capanna, Dario Fo, Franca Rame, Alloisio, ecc. e specialmente ha intervistato per ore e ore (anche con diverse mail) Sandro Luporini.

Il risultato è un reticolo d’informazioni che prima di Barbero gli studiosi non hanno mai avuto. Facciamo un esempio, sempre rapido, riguardo a Illogica allegria. Sono decine di anni che… e poi arriva Barbero e, semplice semplice, ci dice che dietro qui versi e quella atmosfera incantevole e incantata c’è Montale (n.b. il Montale di Luporini) e scrive: «Abbiamo già parlato di Montale e della grande considerazione in cui Luporini lo ha sempre tenuto (“Ho avuto la fortuna di conoscere alcune persone che hanno avuto la fortuna di conoscere Eugenio Montale, che per me è una specie di dio” – Luporini, Intervista con l’autore, 2017). L’illogica allegria rimanda, non soltanto per i contenuti ma anche per la forma, al celebre poema montaliano Forse un mattino andando in un’aria di vetro» (p. 403). Ah! e sempre a proposito di Nobel, va segnalato che dietro Il comportamento («E se mi viene bene / se la parte mi funziona / allora mi sembra di essere / una persona») c’è il Pirandello delle maschere e di Uno nessuno centomila, ma con una precisazione: naturalmente si tratta del Pirandello di Luporini (pp. 194-195) perché Gaber, dopo il diploma in ragioneria, è andato in tournée con Mina (che era già Mina, mica bruscolini!) ed è con lei che si “laurea” e scopre la sua eccezionale vis teatrale, non con Adorno, Sartre, Pasolini. ecc. ecc. come faceva il più timido Luporini.

E a questo punto Barbero (l’umile e ostinato Barbero) dopo 225 pagine di rivelazioni luminose si permette (finalmente!) di tirare le fila di tanti indizi e riscontri e ci fa una precisa rivelazione-precisazione che credo sia capitale e a cui abbiamo già fatto cenno: non sono solo i libri di Luporini ma la vita di Luporini ad essere raccontata suggestivamente nel “Teatro Canzone” ma con una importante sottolineatura: Gaber non avrebbe mai cantato qualcosa che non fosse diventato a tutti gli effetti suo. Una riprova davvero drammatica di quanto ora sostenuto l’abbiamo dal tema delle Brigate Rosse. C’era una discrasia tra Gaber e Luporini e allora semplicemente la macchina “Teatro Canzone” si ferma. Riparte quando le parole di Luporini possono diventare quelle di Gaber. L’incontro tra Gaber e Luporini è cioè un incontro ideologico o forse meglio, visto chi sono gli autori, uno scambio di pensieri cui segue una divisione dei compiti, ovvero deciso in primo luogo (semplifico) che cosa pensiamo, poi Luporini cerca “le parole per dirlo” e Gaber la musica e la “faccia per dirlo”. Ma, essendo uomini intelligenti, se è vero che ciascuno fa il suo, è vero anche che nessuno costruisce fossati ma al contrario si stabilisce un circuito creativo che dura felicemente, per questo, dai primi anni Sessanta alla morte di Gaber. Ma la parola a Barbero che parte sempre dai testi e in questo caso da una canzone intitolata Lona e afferma: «Non era la prima volta (e non sarà l’ultima) che vicende personali di Luporini diventavano una canzone o un monologo interpretati poi sulla scena dal suo amico Giorgio. Quest’ultimo ha “ingannato generazioni” di spettatori raccontando storie che non erano le sue ed era proprio questo che tanto amava nelle canzoni e nei monologhi concepiti insieme al suo alter ego, il fatto appunto che non fossero autobiografiche. Fosse stato il contrario, il suo pudore proverbiale gliele avrebbe fatte detestare» (p. 225).

Bene, ma non è ancora tutto perché va ancora detto che Barbero non sta studiando freddamente il reticolo intertestuale e interbiografico che da vita e luminosità anche storica al “Teatro Canzone” ma sta analizzando anche i grandi temi degli spettacoli degli anni Settanta (e qui forse c’è un po’ di ridondanza e di macchinosità, forse cioè si poteva essere un poco più rapidi ma questo è lo stile dell’Autore che vuole assolutamente «capire» - una parola che troviamo nella prima pagina del libro e che ci martella fino all’ultima - e non lasciare “zone d’ombra”) e più ancora vuole «capire» la dinamica dei singoli spettacoli, cioè la dialettica e la rifrazione delle canzoni nei vari spettacoli. Qui Barbero segnala, da par suo, una cosa importantissima e pure evidente: il valore di una canzone o di un monologo non è qualcosa di assoluto ma deve essere riportato al suo contesto, cioè alla posizione che assume all’interno dello spettacolo. Ancora un esempio rapidissimo e celeberrimo: Barbero segnala che C’è solo la strada non è l’ultima parola dello spettacolo Anche per oggi non si vola ma la penultima. Il brano finale è in realtà un testo molto più banalmente intitolato Finale e il suo valore è quello di porre un punto di domanda sull’assertività dell’inno che è appena stato cantato (Barbero 156-157). Bene e con queste parole (punto di domanda) siamo arrivati a un altro merito di Barbero. Barbero ci presenta anche una lettura assolutamente fededegna del pensiero complessivo del “Teatro Canzone”: il centro ideologico ultimo del “Teatro Canzone di Gaber Luporini” è la “religione del dubbio”: «Io e Giorgio abbiamo trovato nel dubbio una forma di personale religione. Se, da piccoli, a scuola, ce l’avessero insegnato, il dubbio, come un alfabeto delle idee, avremmo fatto di certo molta meno fatica. Peccato» (per inciso: una caratteristica del “Teatro Canzone” ben evidenziato da Barbero è l’ironia e il gusto narrativo del paradosso di cui anche queste poche parole di Luporini sono un chiaro esempio). Ecco, però va detto che “dubbio” non vuol dire “vuoto scetticismo” o “arido cinismo” ed è proprio questo che evidenzia Barbero a proposito dello spettacolo Anni affollati sintetizzando così, a mio avviso, l’intera parabola del “Teatro Canzone di Gaber e Luporini”: «Di fronte a questo scetticismo generalizzato, Gaber e Luporini osano parole come “credere” (“No, non fa male credere / fa molto male credere male”), “fede” (“è meglio ricoprirsi di merda fino al collo / e tirar fuori la rabbia spudorata di chi è stupido ma crede / e urla il suo bisogno disperato di una fede”), “religione” (“è molto meglio l’urlo disperato di un coglione / che muore e che ha bisogno di una nuova religione”), e persino “Dio” (“Perché Dio c’è ancora / Dio c’è ancora, io insisto / Dio c’è ancora, altrimenti non esisto”). Il fatto è che tutte queste parole, assolutamente proibite fino allora per degli antidogmatici come loro, sono le uniche che si sentono di opporre “allo snobismo dei guardoni distaccati e intelligenti”, al loro raffinato e vuoto uso dell’intelligenza, alla loro mancanza di spessore e d’ideali. Certo, il loro modo di intenderle è del tutto diverso dal senso comune» (p. 397). Ed è qui che la guida paziente e intelligente di Barbero diventa indispensabile. Nelle sue pagine abbiamo infatti tutti gli elementi testuali e ideologici per saperci orientare in un universo (“Il Teatro Canzone di Gaber e Luporini”) denso di trappole e misteri. Ad esempio: “pessimismo o ottimismo”, quale delle due ipotesi è la cifra ultima?

 

Barbero inanella esempi e pagine e sintetizza il tutto in un capitolo di estremo valore e coerente con questa dichiarazione di Gaber: «Non mi sono mai posto, allestendo i miei spettacoli, il problema di essere ottimista o pessimista ma quello di catturare, dal mondo che ci circonda, gli aspetti emergenti di maggiore interesse e attualità». Il capitolo di Barbero s’intitola così UN PRESUNTO PESSIMISMO e vi troviamo queste parole con le quali ci pare bello anche concludere questa nostra presentazione: «Non possiamo chiudere un discorso su Anche per oggi non si vola senza spendere qualche parola sul presunto “pessimismo” di cui Gaber e Luporini (qui insieme in una foto d'archivio della Fondazione Gaber) sono spesso stati tacciati. Un pessimismo lucido e onesto a cui Gaber e Luporini affiancheranno sempre l’ottimismo di una fiducia incrollabile nelle risorse del singolo individuo. Sarà soprattutto lo spettacolo Anni affollati a tentare una non facile sintesi fra questi due momenti…». E in Anni affollati troneggia, non a caso, quel piccolo miracolo luminoso che è Illogica allegria. Tutto si tiene nel “Teatro Canzone di Gaber e Luporini” e tutto si tiene, di conseguenza e in coerenza, nello splendido e denso volume di Barbero.

Share |

0 commenti


Iscriviti al sito o accedi per inserire un commento


In dettaglio

  • Artista: Fabio Barbero
  • Editore: Arcana Edizioni
  • Pagine: 432
  • Anno: 2023
  • Prezzo: 22.00 €