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Paolo Benvegnù

È inutile parlare d’amore

Da oltre un secolo assistiamo a una sorta di contrapposizione tra l’artista e la società in cui egli è costretto a vivere e ad operare. L’ascesa - a metà Ottocento - della Borghesia e l’affermarsi della mentalità capitalista sembrano “espellere” l’artista. Egli è infatti, il più delle volte, portatore di istanze emozionali che poco attengono alle necessità materiali. In una società dove l’utile e il guadagno si pongono come valori quasi etici, l’artista non riesce a concepire la sua opera come merce da affidare a un mercato. L’artista un po’ per volta perde l'aura di sacralità. Non è più necessario. O così, quanto meno, si avverte. Nasce l’arte della crisi, perché paradossalmente da vate, l’artista si fa cantore della totale decadenza della società in cui è costretto a vivere. Al tempo stesso, però, egli diventa una sorta di anticorpo che continua a rivendicare l’importanza dell’immaginazione, dell’emozione, dell’amore, del sogno in un mondo sempre più materialistico e vuoto. L’irrompere, poi, della tecnologia - al di là dei furori futuristi di inizio Novecento - complica ulteriormente la crisi di cui l’artista si fa portavoce. Una crisi (dell’artista o della società?) che attraversa trasversalmente tutta la storia artistica del Novecento e del nuovo Millennio.

In qualche modo di tutto ciò ci parla Paolo Benvegnù in questo nuovo attesissimo - e per certi aspetti spiazzante - nuovo album, dal titolo (antifrastico?) È inutile parlare d’amore. Da anni il cantautore milanese viene riconosciuto dagli addetti ai lavori come una delle voci più importanti ed eleganti del mondo cantautorale italiano. Eppure… eppure, appunto, ha senso oggi continuare a fare arte, sembra domandarsi lo stesso Benvegnù. Dove cercare un senso in un mondo dominato dall’insensatezza? Il disco è stato anticipato dal brano (amaramente sarcastica) per certi aspetti emblematica: Canzoni brutte. Una meta-canzone, in cui Benvegnù riflette su come oggi al più l’artista - per avere successo commerciale, per soddisfare il “mercato” - deve scrivere canzoni brutte. O peggio, banali: “Vorrei potere stabilire con certezza la domanda e l’offerta/ Prendermi quello che resta/ Tra bieca semplificazione e volontà di seduzione/ Così mi sono procurato delle frasi che non c’entrano niente/ Ma piaccion tanto alla gente/ Che ci si può identificare e scaricare e poi comprare”. 

In una sorta di titanismo umanistico, Benvegnù nei dodici brani che compongono l’opera rivendica invece la necessità di continuare a cantare il bello. Tutto il disco è dominato da una continua dicotomia, come quella tra un “Noi” (coloro che sentono ancora, che si emozionano) e un “Voi” (coloro che non riescono più a distinguere la realtà dalla realtà virtuale dei social): “L’amore a volte sopravanza il sole, non lo riuscite a sentire/ non vi piacciono i sogni, forse vi piace naufragare/ senza nessuna dignità/ e vi nutrite di paure, e di banalità/ diventate incoscienti come onde del mare/ e noi saremo come il vento, impossibili da decifrare/ ma quando sarà il tempo, vi insegneremo nuovamente a respirare” (Pescatori di perle). Ecco, l’artista Paolo Benvegnù - che ovviamente appartiene al “Noi” - sente la necessità di cantare il bello non solo perché lo sente, ma anche per cercare di risvegliare la coscienza del “Voi”. Senza, al tempo stesso, in alcun modo voler farsi portavoce di istanze sociali o, peggio, portavoce di un malessere generazionale.

Ma il discorso si allarga, perché in una società dove l’uomo sembra porsi al servizio della macchina e non viceversa (si ascolti l’introduttiva Tecnica e simbolica), dove predomina la violenza, la predazione e la stupidità del banale e del male è l’amore che si pone come unico vero atto di ribellione e di libertà. L'amore è un gesto folle che ci costringe a naufragare, ma è un naufragio dolce (come quello de L'oceano, in cui Benvegnù duetta con Brunori) perché l’apparente dicotomia “Io/Tu” si scioglie e si trasforma in un “Noi”.
Accettare l’immaginazione, la poesia, l’amore vuol dire però raggiungere il luoghi non giurisdizionali (avrebbe detto Caproni); luoghi in cui appunto non reggono più le coordinate temporali e spaziali: “C'è un ponte fra gli argini/ Nell'inconsistenza/ La fede non ha ragioni e crede all'incoerenza/ E il fiume mi parla di te, natura e perfezione/ Così credo all'impossibile/ Credo solamente all’immaginazione” (27/12). Quasi inevitabilmente questi spazi, questi luoghi - come si sarà notato dai versi riportati - sono ovviamente lontani (o comunque altro) dal mondo civilizzato. Così come c’è una netta contrapposizione tra il “Noi” e il “Voi” così è forte è la dicotomia tra ciò che attiene al mondo urbano, civilizzato e tecnologico (visto negativamente) e a quello della natura (portatore di una bellezza che travalica l’uomo stesso… sempre che l’uomo sappia vederla). Certo, non mancano - mi verrebbe da dire quasi inevitabilmente - momenti più pascoliani (spero mi si perdoni l’ennesimo sconfinamento nella letteratura), proprio perché è il fanciullino-poeta quello che sa vedere dietro alla realtà oggettiva dei fatti, degli oggetti e dei luoghi, la magia dell’immaginazione: “E correre con gli occhi dei bambini negli spazi immensi della mente” (27/12). Ma è forse la donna (colei che dà origine al mondo) la vera protagonista dell’album di Benvegnù.  Da sempre il femminile fa paura ad un maschile che la vuole azzittire. È la donna il vero regno dell’alterità alla meschinità del materialismo.

Mai probabilmente come in questo disco, però, Paolo Benvegnù spiazza musicalmente i suoi fan. Quasi avvertisse la necessità di far arrivare forte il messaggio che il disco vuole veicolare, l’artista milanese ci regala uno dei suoi lavori più fruibili e, paradossalmente, “commerciali”. E ciò, sia ben chiaro, non è un  giudizio di valore. Perché anche quando giunge a scrivere canzoni più tradizionali (penso alla quasi “sanremese” Libero), Benvegnù lo fa sempre con una classe e una maestria cristallina. Intendiamoci, non mancano anche in È inutile parlare d’amore brani più “sporchi”, rock e quasi dark come L’origine del mondo che sembra uscire musicalmente da qualche spartito del Battiato di Gommalacca e a livello testuale dalla penna violenta del Baudelaire dei Fiori del male. O, ancora, la conclusiva Alla disobbedienza che ci regala una coda ipnotica strumentale di quattro minuti. Ma, come detto, Benvegnù stavolta sembra voler accettare la sfida e giocare sul terreno della canzone mainstream e radiofonica (penso alle già citate 27/12 - in coppia stavolta con Neri Marcorè - e a L'oceano). E ancora una volta vince a man bassa, perché Paolo Benvegnù pare davvero non essere in grado di scrivere canzoni brutte.

Foto: Mauro Talamonti

 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Paolo Benvegnù 
  • Anno: 2024
  • Durata: 51.59
  • Etichetta: Woodworm/Universal

Elenco delle tracce

01. Tecnica e simbolica

02. L'oceano (feat. Brunori Sas)

03. Pescatori di perle

04. Marlene Dietrich

05. Il nostro amore indifferente

06. 27/12 (feat. Neri Marcorè)

07. Our love song 

08. Canzoni brutte

09. In der nicht sein

10. Libero

11. L'origine del mondo

12. Alla disobbedienza

Brani migliori

  1. L'oceano
  2. Pescatori di perle
  3. 27/12

Musicisti

Luca Baldini: basso, pianoforte, chitarra acustica - Paolo Benvegnù: voce, chitarra acustica, sintetizzatori - Daniele Berioli: batteria - Gabriele Berioli: chitarre elettriche ed acustiche - Saverio Zacchei: fiati - Tazio Aprile: pianoforte, fender rhodes, dulcimer, hammond