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Paolo Saporiti

La mia falsa identità

Chissà se Paolo Saporiti accetterà di buon grado la definizione di “disco definitivo". Ma ammetto che è quello che ho provato - e immagino molti degli ammiratori del cantautore milanese - già al primo ascolto di questo prezioso (e corposo) doppio La mia falsa identità. Definitivo, per tanti motivi. Da una parte perché l’artista - giunto al suo nono album in studio - sembra prendere in mano tutti i fili della sua precedente esperienza; li intreccia; li elabora regalandoci un disco totalmente compiuto. Dall’altra, perché mai come questa volta Saporiti fa i conti col passato, il proprio e quello della propria famiglia. Un vero e proprio viaggio nei recessi più profondi (e bui) della propria anima, per scoprire sprazzi di luminosità e numinosità. Un disco in cui tutto si tiene, in un equilibrio (o disequilibrio) fragilissimo. Come in un quadro di Caravaggio, si ha l’impressione che tutto stia reggendo, ma che tutto possa tracimare, esplodere da un momento all’altro.
Saporiti ci spiazza, ci fa male, ci accarezza, ci blandisce. E d’altronde proprio questo dovrebbe sempre fare un artista: metterci in crisi. Già a partire da un titolo tanto emblematico, quanto potenzialmente ambiguo. Quali sono le false identità di Paolo Saporiti? Ci sta mentendo? Ci sta raccontando la verità? Non importa, ovviamente, perché in arte anche la più spudorata menzogna è più vera della verità stessa. E così "La mia falsa identità" suona sempre profondamente autentico.

Il doppio disco è strutturato - come una sorta di opera teatrale - in due atti: 'Lo sfratto' e 'La zattera'. Le note di copertina ci informano che Lo sfratto “è inteso nell’accezione canonica di 'estromissione delle persone da un domicilio' ma racconta anche di un dolce tipico di Pitigliano, la ‘Gerusalemme toscana’, realizzato a forma di piccolo bastone, per ricordare l’oggetto che il messo governativo usava per segnalare agli abitanti -bussando appunto alle porte- che era giunta l’ora di raggiungere il resto della comunità, nel ghetto, durante la cacciata del XVII secolo. I pasticcieri pensarono così di creare un dolce che potesse tenere viva quella memoria”. Mentre La Zattera: “cita il quadro di Géricault ‘La zattera della Medusa’ (1818-19) in cui è rappresentato il naufragio della Medusa. Un caso che fece grande scalpore all’epoca di una nave naufragata davanti alle coste francesi. I sopravvissuti si abbandonarono ad atti di cannibalismo, nel nome della sopravvivenza”.
Va da sè che, quindi, che l’intero lavoro debba essere letto come una sagace allegoria dei due termini. 

 

Accennavo sopra a come Saporiti in questo lavoro faccia i conti con le proprie ombre. Ombre che a loro volta derivano da ombre familiari; da tragedie mai realmente elaborate che hanno generato per anni continui “non detti”. Spetta al cantautore - giunto oltre la soglia dantesca del cammin di sua vita - fare in qualche modo il lavoro “sporco” di recupero ed elaborazione. Sulla famiglia Saporiti pesa, infatti, da decenni la grande ombra di un fattaccio di cronaca nera, terribile: il 3 luglio del 1956 un garzone licenziato qualche anno prima trucidò, per vendetta, nella loro panetteria, i bisnonni di Saporiti, un suo prozio e un brigadiere. Un fatto che fece parlare per giorni e giorni la carta stampata dell’epoca (e di cui si interessò anche il grande Dino Buzzati). Un buco nero. Incolmabile. Che, però appunto Paolo ha trovato necessario rievocare ed affrontare. Come sopravvivere a tanto dolore? Forse chiudendosi nel silenzio ostinato (quello del nonno di Paolo, scampato per fatale coincidenza all’eccidio). O forse trasformandolo in voglia di vivere. Non a caso il bellissimo video che accompagna la suite Sei bellissima/ La dignità di Elena (con i disegni e l’animazione di Marta Reina) si chiude con una citazione di Dostoevskij: “Conoscerai un grande dolore ma in quel dolore sari felice. Ascolta il mio comandamento: nel dolore cerca la felicità” (da I fratelli Karamazov). E chi conosce e frequenta i Tarocchi di Marsiglia avrà scorto nel video - non certo a caso - il riferimento agli Arcani dell’Appeso (la stasi, l’impossibilità ad agire) e a quello della Temperanza (la guarigione). Interessante poi vedere come i due brani sopra citati nulla sembrano volerci espressamente dire della tragedia stessa (che verrà semmai rievocata nella successiva Un sogno da inventare, brano che vede lo splendido intervento di Mario Arcari all’oboe).

Se - come accennavo - le due parti del disco possono essere lette come allegorie, potremmo azzardare a definire “Lo sfratto” come il lavoro più introspettivo del dittico, quello in cui si fanno i conti con le proprie - appunto - false personalità e con quelle di chi ci sta vicino; mentre “La zattera” rappresenta la possibile salvezza dopo aver constato il naufragio, un disco dove il sociale si intreccia con il personale, introdotto da una delle vette dell’intero progetto, la bellissima e struggente Mio figlio e il rallentatore di passi. Una salvezza, però, in qualche modo solo apparente, perché i naufraghi raffigurati nel quadro di Géricault alla fine giungono al cannibalismo: perfetta metafora dell’autofagia (economica e sociale) attuale!

 

Saporiti sa scrivere dannatamente bene e i suoi testi sembrano strutturarsi come poesie (tra versi brevissimi e lunghissimi)  di enorme impatto lirico, spesso oscuri e con numerose citazioni (o se vogliamo suggestioni) bibliche o comunque con riferimenti più o meno religiosi (tra apocalissi, crociate, tradimenti e perdoni) e con inserti apodittici: “La violenza è una forma antica di stare in contatto con gli altri” (Lucciole), “L’indolenza è il pegno alle abitudini” (Falce nera).  Se certo Saporiti è il grande protagonista dell’intero disco, c’è però un convitato di pietra (soprattutto ne “La zattera”): Dio. Presenza  continua e citato espressamente più volte. Fare i conti con il passato d’altronde forse vuol dire anche fare i conti con un Deus absconditus. E poi certo c’è anche l’amore, c’è la morte (sarà lei la protagonista col mantello nero di Lettera dal plotone e di Falce nera?), c’è la mitologia, c’è la storia, c’è il sociale.

Ma è forse musicalmente che il cantautore milanese ci sorprende. Mai come in questo lavoro, infatti, assistiamo a un recupero della forma canzone tradizionale, cosa non sempre presente nei suoi precedenti lavori. Si ascolti, per esempio, proprio la già citata Dignità di Elena dove la splendida apertura orchestrale (il brano è una delle ballate più dolci dell’intero disco) viene “disturbata” da una certa irrequietezza molto anni ‘70, oppure Sai nuotare benissimo dove ancora una volta l’orchestrazione si sposa egregiamente con gli armonici della chitarra. Supportato dai “fedeli” Alberto A. Turra e Lucio Sagone, Saporiti si lascia qui guidare dalle illuminate orchestrazioni di Stefano Cabrera e di Raffaele Abbate (che ha curato anche l’arrangiamento e la produzione). Intendiamoci, Saporiti non dimentica certe asprezze alla Radiohead, ma stavolta si fa meno respingente. Non allontana l’ascoltatore, lo accompagna passo passo nel suo mondo. Di grande impatto è poi il lavoro compiuto sulla voce, che alle volte sembra stridere, alle volte sussurrare (si ascolti l’intro di Muore un’altra balena o di So navigare benissimo), alle volte urlare, alle volte declinare dolcemente i versi. Un disco che sa essere molto internazionale (tra ballate folck-rock, blues e rimandi grunge), ma che mai come questa volta accoglie la grande tradizione autorale italiana.

Un disco definitivo (spero Saporiti mi perdoni ancora una volta la definizione), appunto, di cui la discografia italiana aveva bisogno. Un ventata di aria fresca. C’è vita oltre il mainstream. Lo dimostra il coraggio di Saporiti (e di Raffale Abbate) nel pubblicare un doppio disco così intenso nell’asfittico mercato discografico italiano del 2023.

Servizio fotografico di Mariagrazia Giove

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Paolo Saporiti e Raffaele Abbate 
  • Anno: 2023
  • Etichetta: OrangeHomeRecords

Elenco delle tracce

Lo sfratto

01 Grandi verità

02 Il bacio di Giuda 

03 Vince lei 

04 Tu con chi Stai? 

 05 Muore un’altra balena 

06 Lettera dal plotone 

07 Sei Bellissima/ La dignità di Elena 

08 Be your God* 

09 Un sogno ancora da inventare

 

La zattera

01 Mio figlio e il rallentatore di passi 

02 L’autobomba

03 So navigare benissimo 

04 Lucciole 

05 Le cicatrici dell’imperatore 

06 Sai nuotare benissimo 

07 La versione di Penelope 

08 Ti cambierò il destino 

09 Noi due, città sole 

10 Falce nera 

Brani migliori

  1. Mio figlio e il rallentatore di passi
  2. Sai nuotare benissimo
  3. Sei bellissima/ La dignità di Elena

Musicisti

Orchestrazione archi:
Stefano Cabrera;
Orchestrazione legni:
Stefano Cabrera & Raffaele Abbate;
Orchestrazione ottoni:
Raffaele Abbate;
Mockups Orchestrale:
Raffaele Abbate;
Registrato, mixato e masterizzato da
Raffaele Abbate negli studi della
OrangeHomeRecords.

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Voce e chitarre acustiche:
Paolo Saporiti;
Chitarre elettriche:
Alberto Turra;
Batteria:
Lucio Sagone;
Sampler, synth, piano, rhodes,
basso synth, percussioni:
Raffaele Abbate;
Violini:
Silvia Trabucco, Beatrice Puccini
e Cristiano Puccini;
Viole:
Amira Awajan, Federico Mazzucco;
Violoncelli:
Stefano Cabrera;
Clarinetto, Clarinetto Basso:
Francesca Salvestri;
Oboe:
Mario Arcari.

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Dallo GnuQuartet:
Violini: Roberto Izzo;
Viola: Raffaele Rebaudengo;
Violoncello: Stefano Cabrera