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Calcutta

Mainstream

Boom.

Il secondo album di Calcutta, con quel titolo che oscilla tra il serio e il faceto, Mainstream, ha in qualche modo replicato (in meglio, forse) il piccolo caso mediatico di un altro album dal titolo (auto)ironico, Il sorprendente album d’esordio dei Cani di Niccolò Contessa, che si è occupato della supervisione artistica di questo disco. L’ultimo lavoro del cantautore di Latina continua a essere tra i cd più venduti di musica indipendente, il Nostro riempie i locali e in tanti hanno imparato subito i testi delle sue nuove canzoni.

Ma insomma com’è questo disco?

Calcutta è pop. E non lo nega. Nelle sue canzoni, soprattutto nei singoli, dimostra un ottimo senso della melodia (un significativo esempio è Cosa mi manchi a fare) e usa un linguaggio semplice e immediato, per raccontare un quotidiano minuto e minuscolo, di piccole cose lontane da ogni magniloquenza. Non ci sono grandi amori e grandi dolori, ma collage del quotidiano, a volte al limite del non-sense, come foto affiancate sulla bacheca di un social network, per cui si parla di pizze, svastiche disegnate su un muro “solo per litigare”, mamme che tornano a Medjugorje, YouPorn, quotidiani con le notizie sul Frosinone e Papa Francesco, L’ultimo dei Mohicani, Sandra e Raimondo. Non mancano però momenti in cui queste istantanee su pezzi di vita comune assumono un significato che va oltre la galleria o la carrellata, come in Limonata dove “tarante, Celestini e BMW” diventano l’emblema di certi radical-chic che al Nostro non vanno proprio giù, oppure in Gaetano, quando si descrive il sorriso come una sorta di “paresi”, un obbligo sociale, una maschera forzata dietro cui si tenta di nascondere la noia durante cene e feste poco gradite. Nei testi emergono piccole malinconie e mancanze, che disegnano un quadro lontano da ogni eroismo: Milano sembra “una corsia di un ospedale”, da cui si scappa giù per tornare a “respirare”; se un amore finisce, non muore nessuno, ma il problema è “reimparare a camminare”; per riavvicinarsi, va bene pure prestarsi dei soldi per poter affrontare il viaggio e rivedersi. Non ci sono insomma grandi ambizioni o situazioni melodrammatiche ed è proprio questo a rendere Calcutta uno del pubblico, l’amico del pub, l’ex compagno di classe che racconta le sue storie, che non hanno niente di eccezionale, come la vita di tanti. A volte però queste narrazioni semplici sembrano a qualcuno ammiccamenti agli ascoltatori e strategie ruffiane.

Ma Calcutta ci è o ci fa? Entrambe le cose: la sua peculiarità è di essere ingenuo e furbo, stralunato, stravagante e irregolare come i matti e i bambini. Allora l’anima di queste canzoni non è tanto nelle parole, ma nelle interpretazioni, in ciò che esprimono, nel disagio sottile che attraversa questi brani agrodolci, in quel cantato piano che ha spesso un certo non so che di triste e sofferente, lieve e disperato. Le imperfezioni nel cantato ci sono e sono punti di debolezza, ma al contempo diventano un altro segnale che si tratti di un disco poco mediato, che sia tutto nudo e vero (in studio la perfezione è alla portata di chiunque, volendo). Poi certi momenti non potrebbero essere cantati diversamente: si pensi al finale di Milano e al suo “non ci riesco più”, che non può che essere un grido di impotenza.

Calcutta comunque è lo-fi: lo è sempre stato. Ora lo è un po’ meno, ma nonostante gli intermezzi di synth di Calcutta-Niccolò Contessa-Andrea Suriani (o dell’ospite Mai Mai Mai), che sembrano scaricare il malessere serpeggiante nel disco in gangli sfuggenti di pulsazioni scure, in lampi di suoni ansanti e cupi, in questo disco parlano più i tanti vuoti dei pieni, anche quando il piano prende un certo brio che ricorda il primo Cremonini.

Sì, perché Calcutta non è Battisti. Addossare la responsabilità a un artista di essere un nuovo qualchenomestoricoeintoccabile può solo nuocergli; i tempi e i linguaggi cambiano, nella musica, nella letteratura, nell’arte, nel cinema (e pure le “canzonette”, molti romanzi popolari, la pittura non figurativa, i fumetti, ecc. sono stati inizialmente accolti con grande sufficienza) ed è inutile fare confronti o chiedere/pretendere l’impossibile. Nessuno è o sarà il nuovo Battisti probabilmente e certi confronti sono bestemmie che diventano maledizioni. Calcutta è piuttosto, appunto, un Cremonini che incontra Dente in minimalismi pop per cui synth, batterie, piano, chitarre acustiche, ecc. sgocciolano pochi suoni essenziali, quasi di sfondo e di accompagnamento.

Non è mai “colpa” degli artisti ad ogni modo se poi ci si fa prendere la mano nei giudizi o nell’entusiasmo e piacere ad alcuni o a tanti non può mai essere addebitato come un marchio di infamia, per cui il fenomeno degli hater che ogni nome faccia capolino dalla nicchia di amici e parenti suscita ci sembra sempre spropositato e inopportuno.

No, non è un’apologia, ma un tentativo di restituire le giuste proporzioni al “fenomeno”: per Edoardo la canzone sembra un prolungamento naturale, in un pop semplice, eppure avvolgente, “sgarrupato” e istintivo, efficace, proprio perché non filtrato o raffinato, nonostante la cura che pure si sente in certi arrangiamenti, nella cauta addizione e sottrazione di suoni. Non sarà davvero per tutti, ma resta per tanti. Non solo come artista, ma quasi come un amico in cui riconoscersi. E, con buona pace dei detrattori, non è comunque poco.

 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Calcutta e Marta Venturini    
  • Anno: 2015
  • Durata: 27:00
  • Etichetta: Bomba Dischi / Pot Pot! Records / Goodfellas

Elenco delle tracce

01.Gaetano
02.Cosa mi manchi a fare
03.Intermezzo 2
04.Milano
05.Limonata
06.Frosinone
07.Intermezzo 1
08.Del verde
09.Dal verme (feat. Mai Mai Mai)
10. Le barche

 

Brani migliori

  1. Cosa mi manchi a fare
  2. Milano
  3. Frosinone

Musicisti

Calcutta: musica e testi - Niccolò Contessa: supervisione artistica, synth e piano - Andrea Suriani: mix, mastering e synth - Marcello Newman: piano e chitarra - Francesco Sarsano: basso - Davide Sollazzi: batteria e piano - Marta Venturini: synth in 02 - Mai Mai Mai: musica, synth e drum machine in 09 - Valerio Bulla: realizzazione grafica