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Il Teatro degli Orrori

Amore e rivolta

Autori di uno dei dischi più acclamati dell’anno appena trascorso, Il Teatro degli Orrori si raccontano attraverso le parole di Pierpaolo Capovilla, voce e mente di una delle realtà più solide e rappresentative del nostro nuovo rock.


A Sangue Freddo prosegue il percorso del precedente Dell’Impero Delle Tenebre, mantiene quell’equilibrio assolutamente affascinante e personale tra liriche e costruzioni sonore spigolose, ma rispetto all’esordio è meno grezzo, arrangiato in maniera più stratificata e forse più accessibile. Sei d’accordo?

Sono d'accordo. Volevamo un disco più classicamente rock, nel quale la violenza e l'eccesso che contraddistinguono Dell'Impero delle Tenebre cedessero il passo ad arrangiamenti più orchestrati e, come dici tu, più stratificati. Ma il territorio musicale che esploriamo rimane il medesimo: in A Sangue Freddo il sound è sicuramente più accessibile, ma si tratta, ne sono convinto, di un'evoluzione utile, se non necessaria.


Col senno di poi, la scelta di cantare in italiano è stata cruciale per la vostra storia. Anche A Sangue Freddo, dal punto di vista delle liriche, è molto ricercato, colto, pieno di invettive e ironia. Insomma, una cifra stilistica ben definita e riconoscibile. Inoltre mi pare ti diverta molto giocare con le citazioni, in un parterre che va da Celentano al Padre Nostro o da Carmelo Bene a Majakovskij, passando per De Gregori, Pino Daniele e un sacco di altra roba. Dico bene che ti diverte?

Ma perché no! Le citazioni e i riferimenti letterari sono comunque tutti molto ben meditati: rappresentano espedienti narrativi che hanno la precisa funzione di aggiungere senso al significato della canzone.

E certo, la scelta dell'italiano è cruciale. Finalmente chi ci ascolta capisce cosa dicono le canzoni.... Capirai che traguardo. La poetica che sta alla base de Il Teatro degli Orrori è infatti non così dissimile da quella di One Dimensional Man, ma è la lingua italiana che fa la differenza, perché arriva dritta al cuore, senza mediazioni.


E gli One Dimensional Man? Dobbiamo considerarli ormai un capitolo chiuso, o è possibile che in futuro possano tornare a dire la loro?

Mi riservo il piacere di sorprenderti quanto prima. Non so quando, ma mi sta tornando una voglia imperiosa di suonare il mio strumento. Dopo quasi quattro anni che non tocco il basso elettrico, incomincio a sentirne la mancanza.


A Proposito di Padre Nostro, vorrei chiederti come mai questa scelta: in mano vostra è diventata qualcosa di molto laico e arrabbiato. Più in generale, Dio ricorre spesso nelle vostre canzoni, sei credente? Che rapporto hai con le religioni?

Io sono laico. Ma ho ricevuto una profonda educazione cristiana, che mi spinse anche ad un breve periodo di studio della teologia. Avevo vent'anni... Sono convinto che tutte le religioni del mondo non siano che forme di esercizio del potere, ma credo nella figura pacificatrice e rivoluzionaria di Gesù Cristo; non è un ossimoro: i valori della giustizia, dell'uguaglianza, e della pietà sono quanto di più rivoluzionario si possa pensare nella feroce contemporaneità dell'oggi.


Abbiamo citato Carmelo Bene e potremmo citare Artaud, dal quale avete mutuato il vostro nome. Quanto è importante per voi il teatro?

Il teatro di Artaud si poneva agli antipodi di quello tradizionale, e intendeva trasmutarne i valori. Il teatro non più come rappresentazione della realtà, ma come realtà in se stessa. Rappresentazione più reale del reale, un magnifico paradosso che esprime innanzitutto l'urgenza di riportare in vita la parola, riesumarla e resuscitarla dalla morte della scrittura, liberarla dalla dittatura della pagina. Ecco, in qualche misura Il Teatro degli Orrori si prefigge uno scopo analogo. Io non sono una fatua rock star che si pavoneggia su di un palcoscenico e poi, se dio vuole, non se ne sente più parlare. Tutto ciò che accade nei nostri spettacoli è vero. Non c'è finzione alcuna. Infine, il teatro così inteso è la vita stessa. Quando salgo sul palco, sono finalmente vivo, e ti sbatto in faccia senza scrupoli ogni mia lagnanza, speranze e disperazioni, dolore e gioia, odio, amore. E' quando torno a casa, davanti alla tivù, o in ufficio a fari di conto, o in fabbrica a girar bulloni, che crepo, muoio lentamente. Tutto questo non vale solo per me, vale anche e soprattutto per il pubblico. Ogni nostro concerto è un evento a sé: chi viene ad ascoltarci, a "vederci", dovrà avere la sensazione di assistere ai propri stessi drammi esistenziali. Tutto il resto, non son che fregnacce.


Anche queste nuove canzoni indagano sul rapporto tra individuo e potere, raccontando storie in bilico tra il pubblico e il privato. Il tuo però, mi sembra uno sguardo essenzialmente pessimista, di chi vede un Paese andare allo sfacelo e sente il bisogno di gridarlo, pur avendo la consapevolezza che risalire la china sarà impossibile.

So che ci vorrebbero spazio e tempo, ma in breve, cosa credi che sia accaduto al nostro paese negli ultimi 20, 30 anni?

Una considerazione preliminare: grida di disperazione nascondono sempre un desiderio di emancipazione, di rivolta, di liberazione.

Risalire la china non soltanto è possibile, è necessario. La lotta per migliorare il mondo, e con esso la nostra società, il nostro paese, la comunità in cui viviamo, è una fatica che vale la pena affrontare, perché rende le nostre vite degne d'esser vissute.

La società italiana si è involuta in un modo impressionante, diventando egoista, ignorante, e più brutta che mai. Lo sappiamo benissimo tutti che cos'è accaduto. Gli impulsi più rapaci di un capitalismo e di una borghesia cialtrona che contraddistinguono il nostro paese, hanno preso il sopravvento sulla cultura, la poesia, la buona politica.

Una parte enorme della responsabilità di questa involuzione è nelle mani del ceto politico. Non ci piove.


La title-track, scelta anche come primo singolo, narra del poeta nigeriano di etnia Ogoni Ken Saro Wiwa, che pagò con la vita il suo impegno contro lo sfruttamento del Delta del Niger da parte delle multinazionali del petrolio. La scelta di fare una canzone che raccontasse questa storia è legata alla consapevolezza che questa vicenda è ancora troppo poco nota in Occidente?

Quando, nel Novembre del '95, impiccarono Saro Wiwa, la notizia fu un colpo al cuore di tutti i democratici del mondo. Non ci si voleva credere. Abbiamo la memoria corta. Grazie alla nostra canzone, Ken Saro Wiwa si prende così una piccola rivincita.

Ho pensato di raccontare Wiwa, attraverso le sue stesse parole (perché A Sangue Freddo è un riadattamento in chiave rock di una sua poesia, "La vera prigione"), per ricordare agli smemorati della mia età, e per informare i più giovani, un esempio tanto significativo della lotta delle moltitudini del mondo contro lo sfruttamento criminale dell'ambiente. Perché chi stupra l'ambiente, uccide a sangue freddo donne e uomini che vi abitano, e lo fa con il candore peloso delle grandi banche d'investimento e degli azionariati diffusi, e più spesso con l'arroganza oscena dell'opulenza, della ricchezza sfacciata, del lusso ostentato.

Nel Delta del Niger vivono nella più profonda disperazione trenta milioni di persone che da generazioni bevono acqua sporca di petrolio, mangiano pesci morti, e mai vedono le stelle, perché Chevron, Shell, Texaco, Elf, Agip (l'italianissima Agip) bruciano illegalmente i gas naturali del sottosuolo per estrarre il greggio: dal Delta del Niger proviene il 3,5 % del CO2 di tutto il pianeta. Devo aggiungere altro? Certo, devo aggiungere: tutto ciò è intollerabile e deve finire.


Siete compagni di etichetta di gente come Vasco Brondi, Giorgio Canali, The Zen Circus, storie musicali che, con le dovute differenze, sento molto vicine al vostro modo di fare musica. Dato che, anche con One Dimensional Man, sei in giro ormai da parecchi anni, volevo chiederti qual è il tuo punto di vista sullo stato di salute del nostro rock alla fine di questo primo decennio del nuovo millennio.

... Non saprei. Credo di poter dire che, tutto sommato, del buon rock e della buona musica ci sono sempre stati. Oggigiorno non mi sembra che le cose vadano poi male. Anzi, percepisco un certo desiderio, da parte di giovani e meno giovani, di contenuto e di impegno. Forse il tempo dell'edonismo berlusconiano è vicino alla fine. Perlomeno, me lo auguro.

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