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Valeria Caputo

Habitat

Per raccontare in musica le questioni sociali e ambientali, si possono seguire diverse strade e modalità. Valeria Caputo nel suo album Habitat (uscito sul finire del 2023) sceglie di affrontare un percorso in otto tracce, disegnando una “mappa dell’abitare” con temi che attingono dalla sfera privata, sociale, etica/politica, tra impegno e rassegnazione, incanto/disincanto e re-incanto e nei quali sono presenti il senso di appartenenza, i sentimenti, le radici e la casa, da intendersi non solo come luogo fisico in cui ci si sente al sicuro e accolti, ma anche come metafora dell’equilibrio interiore, quello che abita e dimora nelle pieghe dell’anima.

Prima di parlare di questo nuovo lavoro, è doveroso spendere due parole per presentare Valeria Caputo. Pugliese di nascita, dopo varie migrazioni giovanili approda a Forlì, dove vive e lavora attualmente. Si è diplomata come tecnico di musica interattiva per le arti digitali alla Scuola di Alto Perfezionamento Musicale di Saluzzo, Cuneo, e ha proseguito gli studi al Conservatorio Giovan Battista Martini di Bologna, conseguendo il diploma di laurea magistrale in musica elettronica. I generi che identificano la sua musica spaziano dal cantautorato al jazz, dal folk all’elettronica. Il suo album di esordio (autoprodotto nel 2012) si intitola “Migratory Birds” ed è connotato da sfumature di carattere folk-rock, mentre “Supernova” anch’esso autoprodotto, è uscito nel 2016 e contiene brani ambient, trip-hop, dark wave, synth-pop e jazz sperimentale. Da questi primi elementi, possiamo intuire che le migrazioni giovanili di cui abbiamo fatto accenno poc’anzi, hanno contaminato anche lo stile di Valeria, caratterizzato da un nomadismo musicale espressivo particolare, con un occhio di riguardo per la sperimentazione. Habitat, dicevamo, è il suo terzo album, anche se rispetto ai precedenti è il primo a essere cantato in lingua italiana e i cui testi sono stati scritti dalla cantautrice. Fanno eccezione la poesia di Raffaele Carrieri tratta dalla silloge ‘La civetta’ e una testimonianza pubblica, rilasciata da Celeste Fortunato, durante la manifestazione del maggio 2022 ‘Stop al sacrificio di Taranto’ che è stata trascritta e riprodotta su licenza dell’autrice. Entrambi sono stati utilizzati nel brano Taras.

 

Per quanto riguarda l’ambito strumentale e musicale, Valeria Caputo si avvale della presenza di dieci musicisti, voice over, cori e solo vocale. È un progetto parecchio ambizioso quanto poco lineare (da intendersi in una accezione positiva) straniante e spiazzante, con dettagli sonori anche presi dalla quotidianità come il canto delle cicale o i rumori domestici, che ritroviamo a partire dalla prima traccia dal titolo Ma quale casa. Non è però un brano cantato, ma una sorta di speech “immobiliare” (mi si passi il termine), dove viene descritta “una villa di ispirazione nettamente moderna”. Andando ad approfondire tra le note informative, scopriamo la sua genesi, un testo tratto dal volume ‘Cottages e ville residenziali, Progetti Esecutivi – Particolari Costruttivi – Prospettive’ di Angelo Cortesi, pubblicato dalle edizioni Pirola di Milano nel 1969. Una testimonianza dal sapore vintage, uno sguardo che proviene dal passato che vuole essere una provocazione; un’acuta analisi dai toni faceti. Seguono infatti alcuni “stralci casuali da etichette di prodotti per la casa” anche se sono anonimi, cioè privi di citazioni commerciali. Quando ho impiegato tra gli altri il termine “spiazzante” mi riferivo anche a questo inserto particolarmente originale che, confesso, non mi è mai capitato di incontrare finora. L’ascolto musicale vero e proprio inizia con Vieni, seconda traccia, un invito a visitare una dimora che ha “cuscini di sabbia” e “stelle come tetto”. È qui che avviene l’incontro con l’identità che alberga tra le pareti domestiche o, meglio, con l’essenza di ciò che ciascuno cerca in tutto ciò che si può chiamare casa. Una rivisitazione audace, moderna e alternativa de Il cielo in una stanza di Gino Paoli a cui l’autrice dice di essersi chiaramente ispirata.

Sono tuttavia tre i brani che hanno colpito in modo particolare la mia attenzione. Il primo è Mel, introdotto dal suono del piano e che con un incedere malinconico evoca un’atmosfera delicata e decadente. Questo brano è dedicato a Mélanie-Hélène Bonis pianista e compositrice tardoromantica francese, che era conosciuta con lo pseudonimo Mel Bonis, scelta che le venne consigliata dal poeta - ma soprattutto - grande amore Amédée Hettich. Un escamotage che a quei tempi, serviva a camuffare il genere che rappresentava un ostacolo per la pubblicazione dei manoscritti. L’ispirazione che ha mosso le corde e, soprattutto, ispirato la penna di Valeria Caputo, nasce dall’ascolto dell’opera di Mel Bonis dal titolo ‘Prélude (op. 10)’. Un tributo al talento della compositrice francese e un omaggio alla figura della donna innamorata d’altri tempi.

 

Gli altri due brani che cito si intitolano Riconoscersi e Dove finisco io. Vivace e vagamente scanzonato il primo, l’unico momento in cui l’atmosfera viene arricchita di colore con un testo che racconta il fondamento dei valori che guidano una comunità nella quale è importante riconoscersi, appunto. Evocativo e nostalgico il secondo, momento conclusivo dell’ascolto che stilisticamente assume quasi le sembianze di un gospel, mentre il testo crea il giusto spazio per riflettere sul fatto che l’amore - e sempre e solo l’amore - è in grado di riportarci dove ci si sente davvero a casa “Lì dove L’esistenza prende Senso”; un habitat ideale che protegge e che è fondamentale proteggere.  Le cifre sonore riconoscibili durante l’ascolto sono rappresentate dal suono di strumenti classici come chitarre, basso, pianoforte, sax, violino e fisarmonica (a cui si aggiungono elementi come drone synth, manipolazioni analogiche e rumori) e dalla voce delicata di Valeria dal timbro chiaro e lineare senza l’utilizzo di virtuosismi particolari. Il risultato è un ensemble che fonde e alterna i vari generi che attingono dalle sue radici artistiche a cui facevamo riferimento in apertura: cantautorato, alt folk, free jazz ed elettronica sperimentale. Già dopo il primo ascolto, per il suo carattere “visivo”, ho pensato – usando un gioco di parole - che l’habitat ideale per dare maggiore enfasi a un progetto come questo, potrebbe essere il palco di un teatro, dove i voice over che accompagnano i brani cantati vengano magari affiancati da figure rappresentative di espressivi ballerini di danza moderna.

Forse il limite di questo lavoro, se così si può dire, è da ricercare nel genere musicale che si muove in ambiti che connotano una certa cultura elettronica, caratterizzata da atmosfere sonore fluttuanti, rarefatte e dai toni malinconici. Di contro, è apprezzabile il lavoro svolto da Caputo, che si svincola dalle comuni logiche del mercato musicale italiano, creando un album decisamente particolare e originale. A iniziare dall’immagine che caratterizza la copertina dell’album: una foto di Pierfrancesco Lafratta, che ritrae una donna intenta a utilizzare un ferro da stiro su un’asse posizionata nel verde e dove alle sue spalle si intravede una fila di caseggiati tutti uguali di città. Mi sono immaginata che stesse cercando di stirare le delicate pieghe dell’animo di cui dicevo inizialmente, ma questa, ovviamente, è solo una mia suggestione personale.

Habitat è stato prodotto da Valeria Caputo con la collaborazione esecutiva di Ribéss Records ed è distribuito da Audioglobe (nella versione fisica LP e CD a tiratura limitata) e in formato digitale da Milk.

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In dettaglio

  • Anno: 2023
  • Durata: 30:06
  • Etichetta: Ribéss Records - Audioglobe

Elenco delle tracce

01. Ma quale casa
02. Vieni
03. La mia città che sull’acqua brucia 
04. Mel 
05. Taras 
06. Sulla strada statale 
07. Riconoscersi 
08. Dove finisco io

Brani migliori

  1. Mel
  2. Riconoscersi
  3. Dove finisco io

Musicisti

Valeria Caputo:
voce, cori, chitarra acustica, synth, clarleston, cuica, paesaggi sonori, manipolazioni analogiche;
Davide Abbruzzese:
chitarra elettrica in 3, batteria in 5 e 7, basso e percussioni in 7;
Giuseppe Bonomo:
chitarra elettrica e baritona in 6;
Valter Conte de Simone:
batteria in 6;
Roberto Crudo:
chitarre acustiche ed elettriche soliste in 3, supervisione;
arrangiamento pianoforte in 4;
Ando Fabbri:
fisarmonica e piano in 6;
Fanelly: cori e solo vocale in 7;
Celeste Fortunato:
voice over in 5;
Elisabetta Marconi: voce intro in 5;
Enrico di Marzio: chitarre in 7;
Giordano Menegazzi:
pianoforte in 4;
Franco Naddei:
manipolazione sonora, voce in 1, pianoforte preparato in 2, supervisione arrangiamento in 3, drone synth in 4, manipolazioni analogiche in 5, rumori in 6;
Gianni Perinelli:
sax soprano e baritono in 5;
Mina Riviello: violino in 8;
Laura Sciancalepore:
voice over in 1