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Marco Ongaro

Voce

Marco Ongaro ebbe l’unico torto di esordire in tempi sbagliati con album (penso ad Ai e Sono bello dentro) che pagarono pegno agli anni Ottanta, sia in termini di visibilità ridotta presso il grande pubblico (a poco valse la pur meritatissima Targa Tenco per il miglior esordio nel 1987),  sia in termini produttivi (la pur encomiabile Rossodisera del compianto Renato Venturiero non era certo la RCA o la EMI dei tempi gloriosi). Eppure, come sanno molti naufraghi dell’Isola, Ongaro è un nome che, per ispirazione, coerenza e resa artistica, dovrebbe essere affiancato a quello dei cantautori storici, di cui appare un fratello minore solo cronologicamente. Le lunghe pause che hanno intervallato la sua produzione discografica (9 album in 30 anni, 6 anni dall’ultimo lavoro, lo straordinario Canzoni per adulti del 2010), sono state però riempite dai mille interessi di questo fromboliere di note e parole: opere liriche, opere teatrali, scrittura conto terzi, opere multimediali, poesie, biografie, organizzazione di eventi artistici. Pare che per qualche tempo abbia esercitato anche la nobile e perduta arte del domatore di fiumi, ma la notizia è tutta da verificare. Sta di fatto che ogni nuovo lavoro che Ongaro dà alle stampe è un piccolo grande evento per chi ancora draga i fondali dell’arte canzonettistica, alla ricerca di tesori e di bellezza.

Voce nasce in modo curioso quando Gandalf Boschini, strano personaggio che alterna all’attività di produzione in ambito pop-dance quella di titolare di una ditta di disinfestazione e derattizzazione (!), propone ad Ongaro una cosa folle: non solo registrare un disco di canzoni in presa diretta, ma anche da eseguire in studio in assoluta solitudine, senza sovraincisioni di nessun tipo. Ne scaturisce un album fatto di sottrazioni: voce e chitarra, oppure voce e piano (che è, a parer di chi scrive, il binomio più efficace), talvolta puntellati da un’armonica. Stop. Fine. That’s all. Sottolineiamo, rispetto a progetti che possono sembrare dei predecessori, che qua siamo in presenza di tutte canzoni inedite (dieci autografe, più un adattamento), il che, a mia memoria, rende il tutto qualcosa di assolutamente inedito nella canzone italiana. Il risultato è che, messo il CD nello stereo e spinto play, sei preso più volte dall’istinto di voltarti, e poi chiedergli quanto zucchero vuole nel caffè, tanta intensa è l’impressione che Marco Ongaro stia suonando lì accanto, solo per te.

Ma se Voce ti inchioda, e ti costringe a interrompere ciò che stavi facendo (ragù, controllo fatture, l’amore: non necessariamente tutte insieme) non è solo in virtù di questa sua unicità, bensì per il fatto che tra gli 11 solchi di questo album ritroviamo un Ongaro (qui nella foto di Tiziano Cristofori) in splendida forma, capace di cesellare versi perfetti (il Nostro è un maestro della metrica e della rima), di far trapelare emozioni e sentimenti senza dirli esplicitamente, ma facendoli sprigionare da personaggi e gesti, correlativi oggettivi lucidi e potenti, colti con estrema esattezza. E’ in questa calviniana virtù che risiede, crediamo, la cifra stilista di Marco Ongaro. La si avverte in quell’incertezza femminile di Elena, nell’ossessivo mènage di vecchi amanti della ballata pianistica Essi vivono, nell’originale simil-rap di Costi quel che costi, dedicato alla Costituzione Italiana (curioso, tra l’altro, che un altro brano di recente dedicato allo stesso tema sia opera proprio di un gruppo rap storico come gli Assalti Frontali. Ma quella di Ongaro data 2009), nell’amaro disincanto di C’era un ragazzo, ora non c’è, proposta allo stesso Morandi e gentilmente declinata (forse perché poco consona allo sprizzante ottimismo del Gianni nazionale), nel ritratto struggente de Il verbo “era”, che chissà quanto consapevolmente, cita De Gregori (“Io amo le sue rughe”).

 A chiusura una coraggiosa rilettura in italiano di un classico di Leonard Cohen (ed è la quarta, sparsa in diversi dischi, a conferma che il canadese è un autore-feticcio del Nostro), reso però tale da Jeff Buckley, quell’Halleluja cavallo di battaglia di ogni ugola da talent show che si rispetti. Eppure, anche da questa trappola Marco Ongaro, come un James Bond solo leggermente impolverato dopo essere sopravvissuto allo schianto di un elicottero, ne esce in scioltezza, intonando anche lui il suo rispettoso Alleluja al Signore della Canzone.

Piccola chiosa: proprio mentre il vostro umile recensore sta mettendo a punto questo articolo, in rete si trovano i testi delle canzoni del Festival di Sanremo 2017.  Se vi va di deprimervi, vi propongo il piccolo giochino di confrontare uno qualunque di quei testi-fuffa scritti con l’elaboratore che il preveggente Orwell immaginò in 1984, con versi come i seguenti, tratti dalla già ricordata Essi vivono.

“Si allontanano, si avvicininano
c’è un elastico che li lega, così continuano
Si trascinano in questa saga dell’anno ultimo
con il primo che preme identico dietro l’angolo.
Lui ricorda lei progetta
entrambi vibrano.”

 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Gandalf Boschini
  • Anno: 2016
  • Durata: 38:00
  • Etichetta: Azzurra Music

Elenco delle tracce

01. Elena
02. Essi vivono
03. Bionda
04. Costi quel che costi
05. Orient Express
06. Tutto relativo
07. C’era un ragazzo, ora non c’è
08. Il verbo “era”
09. Cambierò
10. Voce
11. Alleluja

Brani migliori

  1. Essi vivono
  2. Il verbo “era”
  3. Elena

Musicisti

Marco Ongaro: voce, chitarra, pianoforte, armonica