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Fabrizio Consoli

L’emozione che supera ogni ostacolo

È uscito un nuovo album di Fabrizio Consoli. E qual è la novità direte voi, visto che parliamo di un artista che da oltre trent’anni si muove nella musica, intorno alla musica, per la musica. Il punto è che troppo spesso Fabrizio ha raccolto meno di quel che meritava, un’attenzione mediatica che negli anni si è imposta più all’estero che in Italia. E lo ha fatto a suon di consensi, ottenuti per quella sua forte capacità di comunicare emozioni ed energia soprattutto nei live. Non perdiamo quindi l’occasione di una sua nuova produzione per ripercorrere i punti salienti del suo percorso. Un viaggio musicale che inizia negli anni Ottanta come chitarrista al fianco di diversi artisti di primo piano della scena musicale come Eugenio Finardi, Alice, Cristiano De André, Mauro Pagani, PFM e molti altri. La sua carriera solista comincia invece nel 1993 con l’uscita dell’esordio omonimo a cui segue la partecipazione a Sanremo nel 1994 con la canzone Quando saprai. Mentre scrive e produce alcune hit (per Dirotta Su Cuba e Finardi), col secondo album “18 piccoli anacronismi” si aggiudica il Premio Ciampi nel 2004. Dopo cinque anni arriva il terzo album “Musica per ballare” a cui segue, nel 2012 “Live in Capetown” con annessa una fervente attività live europea, soprattutto in Germania. Quattro anni dopo esce l’atteso “10”: una rilettura laica dei dieci comandamenti. Nel frattempo la voglia di stare in mezzo al pubblico non si spegne, anzi, e così prosegue l’attività live europea immortalata nell’album “Con certo jazz”, rilasciato dalla Vrec/Audioglobe. Durante il lockdown finalizza il disco di inediti e rarità “Sessions from detentions” uscito il 7 aprile. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare questo nuovo capitolo del suo affascinante - e per certi versi anomalo - percorso musicale di artista italiano poco profeta in Patria ma stimato e richiesto all’estero.

 

Prima di iniziare a parlare del tuo nuovo album ci sembrava giusto fare un minimo di presentazione che avesse un sapore di biografia breve ma doverosa Fabrizio, perché come dicevamo hai un percorso quantomeno anomalo per la scena italiana. Per parlare invece del tuo nuovo Sessions From Detention possiamo dire che nasce dagli umori della pandemia vissuta e chiederti perchè hai deciso di recuperare pezzi rimasti nel cassetto, tra inediti e rarità?
In realtà non c'è un vero e proprio motivo logico... Trovandomi, per la prima volta da anni, a dover gestire molto tempo libero a causa della pandemia da Covid 19 - come quasi tutti noi del resto - ho finito per passarne parecchio, soprattutto la notte, nel piccolo studio casalingo che ho approntato alla bisogna per poter lavorare nonostante fossi costretto a casa. Mi sono così ritrovato spesso a strimpellare versioni differenti dei miei brani, ma anche cover o canzoni dimenticate, saltate fuori sistemando i miei archivi di vecchie registrazioni. Diciamo che è stato anche piacevole, vista la solitudine forzata, seppur c’era questo dolore latente e sicuramente non fisico che ti attraversava. Così, proprio come una malattia dovrebbe, se non altro aiutarti a non dare per scontato lo stare bene e in salute, alla fine ho pensato che non volevo dimenticare questa sorta di “buco nero” nella mia vita professionale e ho deciso di registrare alcuni di questi ritrovamenti, tra cui alcune versioni acustiche o diverse di canzoni che suono tuttora, perchè restassero come testimonianza e, comunque, parte del mio percorso.

 

L’uscita del disco è stata anticipata, nell’arco di un quadrimestre (da Dicembre a Marzo) da un singolo al mese, per poi arrivare alla pubblicazione definitiva in aprile. Quali sono i motivi di questa scelta?
Proprio la natura stessa del lavoro, insieme al moltiplicarsi di video di ensemble eseguiti a distanza durante quel particolare periodo, mi ha fatto pensare che se mai avesse avuto senso registrarlo, questo poteva considerarsi compiuto solamente unendovi un elemento visivo e cioè condividendo la totale solitudine in cui lo stesso è stato concepito e realizzato. Abbiamo così realizzato un video per ognuna delle canzoni che ho scelto. Non penso alle uscite programmate come alla pubblicazione di singoli perchè non considero le SESSIONS un vero e proprio disco, ma più di un’esperienza e, anche stavolta, di un lavoro di concetto, il cui unico senso sta nella testimonianza e condivisione di un momento difficile.

Parliamo degli inediti. Anch’essi concepiti nel lockdown? Più in generale, che significato attribuisci all’intera raccolta?
Quasi nulla delle Sessions è stato scritto espressamente durante il lockdown. Ho scritto poco in quel periodo, perlopiù ho lavorato di lima ai testi di inediti, cioè di quei brani che non avevo mai inciso mentre ho dedicato molto tempo, dopo oltre 40 anni, allo studio del pianoforte. Detto questo però, direi che per certi versi si tratta di un disco totalmente ‘inedito’, per altri, un disco di vecchie canzoni. Quelle mai, per così dire, venute alla luce sono due o tre, ma potrei definirle sia come provvisorie che definitive. Nel senso che non tutte le parole che avevo scritto, per esempio, sono saltate fuori, e, mi chiedo, chissà se mai esisteranno in altra veste che non questa :-) Il significato ultimo che personalmente attribuisco alla raccolta è a tratti nostalgico, ma soprattutto legato a una sorta di necessità. Quando ami qualcuno non puoi sempre pensare che tanto lei (o lui) lo sa... Ogni tanto, soprattutto nei momenti difficili, devi dirlo, forte e chiaro. Con la musica è un po' così.

 

Una curiosità dell’album è Autogrill (Ibrahimovic), dedicata al carismatico campione svedese. Cosa stimi di Lui e quali peculiarità ti accomunano?
Senza ombra di dubbio è un combattente, immagino sia uno a cui nessuno ha mai regalato niente e che si è dovuto conquistare ogni centimetro d'aria (e d’area). Risultati a parte, forse questo è ciò che mi sento di dire potrebbe accomunarci. Ma la canzone non nasce da una qualsivoglia comparazione, bensì da un episodio decisamente più divertente. Chi volesse scoprirlo, lo trova sotto il video delle Sessions…

Molto godibile è anche la cover di Paolo Conte Via con me, contemplata in humus gitano-bossanova. Riuscirai a fargliela sentire? Nel tuo immaginario, pensi che gli piacerà?
Onestamente? Non credo di riuscire a fargliela sentire, né che abbia molto senso provarci. E non credo che l'avvocato passi il tempo a cliccare su internet alla ricerca di cover di sue canzoni. Detto questo, credo fermamente che l'artigianalità del mio approccio - non tanto alla sua canzone, quanto alla costruzione di un percorso... diverso - potrebbe piacergli. Perché no?

Vista la tua naturale tendenza a contemplare concept-album, anche stavolta si può scorgere un fil-rouge nella tracklist, oppure la diversa natura dei brani non lo permette?
Sì, anche in questo caso, come già accennato più sopra, si tratta fondamentalmente di un lavoro di concetto, ovvero di un concept album... A mio avviso, non sono mai le canzoni a determinare l'incasellamento o meno di un disco in questa particolare categoria, ma la risposta che si può dare al perché si è realizzato quel determinato lavoro. In alcuni casi, come per esempio in 10, i testi devono essere scritti in stretta connessione tra di loro, in altri sono le ritmiche a dover essere sottoposte ad attento esame, per evitare ripetizioni. Ma fondamentalmente, come forse avrò già detto, non riesco più a scrivere una singola canzone senza cercare per lei la nobilitazione e il senso più ampio che solo una veduta e una motivazione di insieme può riuscire a dargli. In questo caso, proprio la diversa natura dei brani è il valore aggiunto di una veste così povera e, purtroppo (ecco il concept), necessaria.

Chi ti conosce bene sa che ti sei sempre contraddistinto per evitare sermoni da dotto ma, semmai, prediligendo un tono sottomesso ma complice e empatico. Che idea ti sei fatto delle tue canzoni: ‘arrivano’ più o meno esplicitamente a chi le ascolta? Ponderi sempre l’anelito di includere qualche verità?
Confermo la tua premessa, dicendoti che non mi considero affatto un “dotto”, sono convinto che le canzoni non possano contenere, nel senso di conservare o preservare, verità di alcun genere. Piuttosto possono esserne veicolo nel momento in cui raccontano la vita senza altro contenere, se non la vita stessa. Perchè è la vita, a contenere, insieme a molte illusioni, delle verità.

 

E, certo, la vita può essere raccontata, in modo minimale, ovvero emozionale.
Questo è quello che cerco di fare con le mie canzoni e anche se le verità cambiano nel corso degli anni - senza che questo le renda meno vere - la mia è una ricerca, per così dire, di quelle verità universali, che arrivi a sfiorare dopo che il tempo ha scorticato le presunzioni della gioventù. Sono estremamente critico riguardo ai testi delle mie canzoni. La scelta delle canzoni per un disco avviene sempre attraverso un esame molto semplice: mentre le scrivo, le canto o le registro, devono continuamente e profondamente emozionarmi. E devono continuamente darmi qualcosa, che sia tristezza o gioia, dolore o voglia di ballare... Chiudo con un esempio. Non è raro che, in Germania come in Russia o altrove, persone che non han nulla a che vedere con la musica praticata professionalmente, vengano a dirmi: “non ho capito nulla di quel che canti, ma mi hai comunicato... verità”. Ecco, comunicare verità, non suggerirne o imporne nessuna a comando. Credo che questo sia in definitiva lo scopo del mio lavoro e la cosa più bella che possa capitare a chi fa il mio mestiere.

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